La crisi è il convitato di pietra nella sfida in corso intorno alla riforma del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità. È una possibilità reale, un rischio concreto. Tutti lo sanno ma fingono di ignorarlo, ciascuno a modo proprio. Lunedì in aula Luigi Di Maio aveva commentato il discorso di Giuseppe Conte con il gelo e col silenzio. Ieri mattina il capo politico dei 5S si è affidato a Facebook. Nel post c’è la sua replica all’affermazione del premier secondo cui i ministri, dunque non solo Salvini ma anche lo stesso Di Maio, sapevano tutto della «negoziazione in corso».

Vero, riconosce il pentastellato, «ma sapevamo anche che era all’interno di un pacchetto che prevede anche la riforma dell’unione bancaria e l’assicurazione sui depositi». Poi aggiunge: «Queste cose vanno insieme e non si può firmare una cosa alla volta, sennò finisce che ci fregano». Conclusione perentoria: «Siamo l’ago della bilancia. Sul Mes decidiamo noi». Poco dopo, come ormai d’abitudine, arriva a sostegno Alessandro Di Battista: «Concordo. Così non conviene all’Italia. Punto».

È UNO DEGLI ELEMENTI chiave da cui dipendono la sorte del trattato e quella del governo. I problemi sull’unione bancaria sono enormi. Lo ammette l’ex ministro dell’Economia Piercarlo Padoan: «Il problema è la proposta tedesca di dare una valutazione dei titoli di Stato italiani diversa da quelli tedeschi». Conferma il ministro per gli affari europei Enzo Amendola: «Bisogna evitare alcuni temi come quello della ponderazione dei titoli di Stato». Proprio perché qui l’intesa è lontana, vincolare il sì al Mes a quello sugli altri due punti della riforma significa rinviare a data da destinarsi. Per Bruxelles e per il Pd è inaccettabile. Il pacchetto sarà tale solo per modo di dire.

MA ANCHE SULLE MODIFICHE al Mes l’accordo è un miraggio. Di Maio insiste: «Le proposte ci sono. Ora ci aspettiamo una revisione dei punti critici». Non è una posizione isolata. Per tutto il giorno le agenzie di stampa rilanciano dichiarazioni di esponenti pentastellati che sostengono il leader. La realtà è che, per la prima volta da mesi, la campagna contro il Mes ha ricompattato il Movimento e senza dubbio questo ha il suo peso sulla determinazione di Di Maio e Di Battista. Stavolta poi anche all’interno della maggioranza quella dei 5 Stelle non è una battaglia contro tutti. Stefano Fassina, LeU, è anche più tassativo di loro: «Basta minimizzare! Chi minimizza oggi le conseguenze della revisione del Mes minimizzava ieri il disastro del bail in».

Le porte per modifiche sostanziali sembrano però chiuse. Il Pd lo sa e si trincera dietro la classica linea del «finto tonto». Il segretario Nicola Zingaretti pare un sonnambulo che si aggira nel campo di battaglia senza accorgersene: «Sul Mes si è fatto un vertice in cui si è decisa una linea comune. Poi deciderà il parlamento». Amendola è anche più esplicito: «Il governo ha già parlato unitariamente con la voce del premier. Ha dato mandato al ministro Gualtieri di verificare il negoziato. Nessuno ha chiesto un rinvio e terminato l’Eurogruppo verificheremo le conclusioni».

IL RINVIO NON CI SARÀ. O meglio ci sarà per finta. «Se un Paese ha bisogno di più tempo per le procedure parlamentari ne terremo contro», fanno sapere, bontà loro, fonti francesi pronte a rinviare di due mesi quella firma ufficiale che, come ha illustrato Roberto Gualtieri, slitterà comunque sino a febbraio. Ma riaprire il negoziato sulla sostanza, quello è impossibile: «Il testo è già un buon punto di equilibrio».

Su cosa puntano dunque Gualtieri nell’Eurogruppo di oggi pomeriggio e Conte nei suoi incontri di Londra, da dove ha minimizzato i contrasti con Luigi Di Maio («Nessuna divisione ma diverse sensibilità. Lavoreremo per rendere il progetto compatibile con l’interesse nazionale»)? Probabilmente sullo sgombrare il campo da quella «ponderazione del rischio sui titoli di Stato» che segnalavano Padoan e Amendola. Si tratterebbe di modificare i princìpi guida degli accordi di Basilea, o comunque di inserire paletti chiari e rigidi nella road map per l’unione bancaria. Questo risultato Gualtieri lo otterrà di certo. La posizione tedesca è già di fatto stata bocciata. Bisognerà vedere se i 5 Stelle si accontenteranno di una vittoria di facciata, rivendicando il merito di aver ottenuto quel che già hanno o se l’11 dicembre al Senato porteranno la sfida fino alle estreme conseguenze.