Tre mesi dopo il giugno internazionale dei poeti a Castelporziano, il 14-15 settembre del 1979 si apriva a Ravenna, per iniziativa del gruppo «Tutto Previsto» il Mercatino di poesia. Alla metà degli anni Settanta erano nate nuove istituzioni dello scrivere in versi, molto prima di questi eventi pubblici: riviste, fanzine, luoghi d’incontro, letture private e pubbliche.

Durò molti anni (troppo pochi), era un sentire reale non una moda, copriva il vuoto tra la politica disseminata ovunque di quegli anni e lo spazio privato, individuale ed intimo fin lì accuratamente nascosto. C’erano in giro riviste appena aperte, gruppi che si fondavano che istruivano questo procedimento del «pubblico e privato» in qualche modo connesso al fare poesia.

Il Mercatino era stato scelto come un luogo di elezione, stavamo su piazza San Francesco, uno slargo pieno di architetture e monumenti, lì c’era la tomba di Dante che a Ravenna aveva vissuto e concluso il suo ultimo esilio. Proprio lì scoprimmo che a fianco dei nostri banchetti con le ultime raccolte e libri spesso autoprodotti, anche di giorno decine di giovani venivano a farsi di eroina. Dentro un inferno quotidiano, si bucavano sotto i nostri occhi come se nulla fosse all’ombra della tomba del Poeta. Si stava come coinquilini, insieme leggendo fra l’unico pubblico che erano i poeti stessi, confrontando in coabitazione le disperazioni.

I materiali del Mercatino erano esposti con allegria dai gruppi di nuova versificazione come primizie portate dalla campagna, da Salvo Imprevisti, con Mariella Bettarini e Silvia Battisti, sempre in compagnia di Loredana «Lory» Montomoli, la compagna di una vita di Attilio Lolini, c’erano quelli di Valore d’Uso – con, tra gli altri, Antonio Ricci, non il capocomico di Mediaset ma il poeta de L’Aria che per Giorgio Caproni era «compiuto come la O di Giotto» -, i libretti di El Bagat di Bergamo, poi arrivava anche Gianni D’Elia, il gruppo del nord di Abiti Lavoro guidato da Ferruccio Brugnaro; c’era Cesare Ruffato, e arrivavano anche da Bologna gli ultimi ciclostilati di Roberto Roversi dalla sua Libreria Palma Verde.

Lì a Ravenna tra i banchetti esposti con le auto-pubblicazioni di fogli, fanzine, riviste, libri, si aggiravano, per tre anni, tanto durò l’iniziativa, anche Gregory Corso, Andrea Zanzotto, diffidente e luminosa come sempre Amelia Rosselli, Vito Riviello con la sua satira sprezzante e Attilio Lolini – che fra l’altro avrebbe dato vita alla rivista Barbablù fatta di soli originali autografati – con la forza della sue impietose «pietose litanie»; di lui Pier Paolo Pasolini, recensendo il suo primo libro Negativo parziale del 1974, aveva scritto che era un «tardo frutto», «un’assurda fioritura fuori stagione» dell’epoca del Sessantotto.

Tutti su quella piazza di Ravenna tentavano di essere adeguati al «mercatino» necessario: per uno scambio eguale e una presa di parola alla quale seguisse finalmente l’ascolto e il riconoscimento della voce dell’altro. Proprio come non accade mai. Tutti sembravano camminare avanti se stessi, in una minima avanguardia dei gesti, nel senso dei versi di Dante «Facesti come quei che va di notte,/ che porta il lume dietro e sé non giova,/ ma dopo sé fa le persone dotte».