Ahmed Yousef non è più il consigliere dell’ex premier e ora leader dell’ufficio politico di Hamas Ismail Haniyeh, resta però uno dei “teorici” del movimento islamico. È considerato uno degli artefici degli emendamenti allo Statuto di Hamas del 1988 annunciati nei giorni scorsi con cui gli islamisti hanno accettato l’idea della creazione di uno Stato palestinese solo in Cisgiordania e Gaza senza riconoscere Israele e rinunciare alla lotta armata. Modifiche che hanno fatto parlare di svolta “moderata” e di “segnali” inviati all’Occidente e al mondo arabo dall’organizzazione fondata trent’anni fa dallo sceicco Ahmed Yassin poco dopo l’inizio della prima Intifada. Segnali che, ad oggi, non sono stati accolti mentre Israele, per bocca dello stesso primo ministro Netanyahu, smentisce l’esistenza di novità nello Statuto e afferma che Hamas resta impegnato nella distruzione dello Stato ebraico. Il partito laico Fatah da parte sua ha criticato duramente Hamas per averlo accusato di «tradimento» durante e dopo la firma degli Accordi di Oslo con Israele nel 1993 per poi giungere, 24 anni dopo, alla accettazione del compromesso territoriale con lo Stato ebraico.

«È presto per valutare le reazioni internazionali e delle altre forze politiche palestinesi» ci dice Yousef accogliendoci nel suo ufficio, House of Wisdom, in un edificio sul lungomare di Gaza city. «La cosa più rilevante al momento – aggiunge – è aver fatto delle modifiche che non erano più rinviabili. Lo Statuto del 1988 fu scritto con il linguaggio di quel periodo e non era più rappresentativo di Hamas come lo conosciamo oggi. L’autore di quel testo e chi lo ha assistito non avevano tenuto conto del diritto e della diplomazia che oggi non si possono ignorare». Cambiamenti che non tutti in Hamas hanno accettato di buon grado. Qualche giorno fa, uno dei fondatori del movimento ed ex ministro degli esteri Mahmoud Zahar, ha negato che lo Statuto emendato rappresenti una «strada nuova», in modo da sconfessare la svolta che non ha gradito. Con Zahar sarebbe schierato il leader di Hamas a Gaza ed esponente di punta dell’ala armata Yahya Sinwar contrario alle aperture fatte all’Olp controllata da Fatah e presieduta da Abu Mazen.

Yousef ammette l’esistenza di differenze, anche ampie, di opinione. «Hamas è una organizzazione complessa ed è normale che al suo interno vi siano visioni diverse» dice «il nuovo Statuto è frutto di un dibattito che è andato avanti per lungo tempo e di decisioni prese sulla base di un consenso adeguato. Comunque occorreva cambiare e su questo sono stati tutti d’accordo». In Medio oriente, aggiunge l’esponente, «sono intervenute trasformazioni importanti di cui il nostro movimento non può non tenere conto e mano mano che il ruolo di Hamas ha assunto dimensioni sempre più rilevanti non si poteva restare immobili». Yousef non nasconde che il rapporto con Israele resta il nodo centrale agli occhi della comunità internazionale. Sa che il mancato riconoscimento dell’esistenza di Israele ostacolerà il cammino di Hamas verso la sua legittimazione agli occhi dei Paesi occidentali alleati dello Stato ebraico. «L’Occidente guarda a questo tema da un unico punto di vista, Hamas fa un discorso diverso» spiega «Non disconosce che la Terra Santa abbia un valore enorme per le tre religioni monotestiche e che in essa vi siano alcuni dei luoghi più santi per queste fedi. Una soluzione perciò è possibile tra i popoli dell’Islam, del Cristianesimo e dell’Ebraismo. Hamas non è schierato contro gli Ebrei ma condanna il Sionismo e le sue politiche contro i diritti del popolo palestinese. Il nostro scontro è con il nazionalismo sionista non con l’Ebraismo».

Yousef infine riconosce che gli emendamenti allo Statuto e la presa di distanza dai Fratelli musulmani sono anche la conseguenza delle pressioni su Hamas giunte da alcuni Paesi islamici e che sono volti a migliorare le relazioni con varie capitali arabe, a cominciare dal Cairo. «Hamas – conclude – deve guardare al presente e più di tutto al futuro, facendo delle scelte razionali, quindi aderenti alla realtà senza per questo rinunciare ai suoi principi fondamentali».