La poesia di Luisa Gastaldo scaturisce da una faglia occultata dal nostro tempo convulso, che al comando del principio di prestazione e del profitto travolge consuetudini, rapporti umani, ambiente quotidiano d’esistenza, scaraventando i perdenti e i morti stessi tra gli scarti colpevoli. Gastaldo, soffertamente ancorata al retroterra friulano, ricovero dell’orto didattico cui si dedica, leva la propria voce da dove il tempo e il mondo appaiono nella fissità della morte. Ma – ed è qui la vena nutritiva – non è mossa dal moto funerario, dalla nostalgia o dal piegarsi della pietas.

PAESAGGI E PERSONE vengono fatti vivere o rivivere nella trama complessa dei tempi, che smuove l’immobilità da cui la parola prende avvio: «Sembrano tutti uguali / lo scorcio – il pino / marittimo di lato», così l’incipit programmatico. Se guardiamo meglio quale sia la coscienza del presente che la rievocazione governa, vi scorgiamo uno sguardo energicamente femminile.

GIÀ NELLA PRECEDENTE, intensa raccolta, Della tua voce, a ridosso della morte del compagno, il poeta Luciano Morandini, Gastaldo aveva avuto la forza di portarsi in una zona primigenia dell’esistenza, da dove far vivere, nella ferita immedicabile della perdita, il tremore fecondo e senza riserve della relazione, mostrando che il rapporto con l’altro, tra il presente e il passato, che il desiderio di relazioni autentiche sono questioni di vita o di morte.

NELL’ATTUALE RACCOLTA, lo stesso titolo, La linea del rattoppo (Qudu, pp. 94, euro 10), mentre espone il raccordo tra tempi, persone, paesaggi, vicende personali, esibisce anche, in modo persino prosastico, il rinvio alla sapienza tradizionalmente domestica del rammendo. Ampia è la presenza di figure femminili, dal ricordo del funerale di una bambina, alle poesie alla madre, fino ad aprirsi ai miti (Alcesti, Lilith) o alle artiste e poete dedicatarie dell’ultima sezione.

Delicatissima, in bilico com’è tra il gioco infantile dei versi e il contrappeso angoscioso del titolo, la poesia A Daniela (1958-2013): «Regina reginella / quanti passi devo fare / per arrivare al tuo castello bello bello?». La voce vive poi in prima persona, ora nell’esperienza dell’amore, dove s’incontra un endecasillabo che evoca l’incanto di Saffo: «ora che sei qui e parli e mi sorridi»; ora in quella di figlia con il vecchio padre cieco, della bella «Ogni giorno per diverse ragioni», dove amore taciuto, conflitti, bisogno reciproco d’affetto compongono un tessuto mosso e insieme rattenuto; ora in quella della figlia in colloquio con la madre: «nella nostra nudità disarmate / quell’ultima estate non più / madre e figlia ma amiche»; ora in quella di vedova, ironicamente alle prese con le incombenze faticose dell’eredità: «Assediata da oggetti e documenti / (lo vedi amore mio quanti problemi?) / mi sono convertita in archivista», poi piegando a uno sguardo domestico e intimo, ancora una volta amoroso, a segnare la permanenza vitale del passato: «Guardo le tue radiografie / le varici la scapola dolente / a lato delle cervicali l’ombra / del tuo profilo e il collo – che baciavo».

IN COERENZA con il moto da cui nasce, il verso di Luisa Gastaldo si accorda al respiro interiore, procedendo per una strada di semplificazione, prima di tutto interpuntiva. L’assenza di punteggiatura, grammaticalizzata da altre stagioni poetiche, è la veste naturale di una lingua che si sente oralità sommessa, certo assecondata dal vocabolario non rilevato.
La medesima brevità dei componimenti non evoca la funzione misterica dello spazio bianco, ma palesa la loro natura di accensioni, frammenti, di persone, di esperienze, di paesaggi, che la voce s’incarica di riconnettere nel loro legame e senso necessario. Un’esigenza d’ordine regola ogni testo, già visibile nella simmetria strofica.

ANCHE IL RITMO, pur ricorrendo a versi brevi, è largamente segnato dalla misura dell’endecasillabo. Anzi, come Rodolfo Zucco ha mostrato in un sondaggio condotto in occasione di una lettura della poeta ai Colloqui del Tonale, accade che l’endecasillabo, in controcanto, nutra una latenza sorretta dalle partiture rimiche o sintattiche, anche là dove la disposizione grafica esplicita lo nega.