Nessun pathos. La sola suspense riguarda il numero dei dissidenti nel Movimento 5 Stelle. Alla fine saranno quattro, Grassi, Lucidi, Urraro e Paragone. I primi tre avevano già bocciato, poche ore prima, il decreto Sisma, nonostante la fiducia. Il loro no sembra quindi preludere a un vero e proprio cambio di campo con l’ingresso nel gruppo della Lega, mentre Gianluigi Paragone specifica che il suo no è contro «il Mes che è dentro la struttura neoliberista europea» ma non è «prodromico» al cambio di casacca.

LA RISOLUZIONE di maggioranza, approvata la mattina alla Camera, passa comunque con comodo anche la prova più difficile del Senato. I sì sono 164, maggioranza assoluta, i no 122. Le defezioni non sembrano dunque mettere in pericolo la maggioranza neppure in dimensione minima. Ma il gelo nelle file del M5S quando i dissidenti prendono la parola, a fronte degli schiamazzi leghisti, indica invece che la preoccupazione per un ulteriore smottamento provocato dalla conversione europeista è diffusa tra i pentastellati, probabilmente più per quanto riguarda l’elettorato che non i gruppi parlamentari. Luigi Di Maio svela il nervosismo: «Salvini ha aperto il mercato delle vacche. Mi auguro che non partecipi nessuno». Il leghista replica assicurando che le porte della Lega «sono aperte, però mai con il Pd».

LA BATTAGLIA PERDENTE del Mes si conclude in tono minore, si sgonfia senza risolversi. I protagonisti del duello all’interno della maggioranza, nonché i più direttamente coinvolti nella vicenda, sono i ministri Gualtieri e Di Maio, ma il secondo diserta addirittura l’aula. Il premier Giuseppe Conte, come al solito, si affida a un elenco puntiglioso ma evita le polemiche infuocate dell’ultimo dibattito, o almeno le limita a un rimprovero, «non bisogna insinuare dubbi e paure negli italiani», e a un’accusa, «alcune posizioni mirano a portare l’Italia fuori dall’Euro». Dà spettacolo solo Matteo Salvini, che sente di avere in mano una carta vincente. Rivendica le 500mila firme contro il Mes raccolte nel weekend, rivolge l’accusa di Conte contro il premier, «i veri nemici dell’Europa sono gli euro-ottusi», lo definisce sempre e solo «copia sbiadita di Monti». Salvini punta anche il dito, con gran rullar di tamburi, contro un passaggio del Trattato che, a suo dire, garantirebbe uno scudo penale ai componenti del Mes. In questo caso però la replica di Roberto Gualtieri arriva sferzante e a stretto giro: «Ennesima fake news di Salvini. La riforma non introduce nessuno scudo penale né modifiche alle norme sull’immunità, in linea con quelle delle principali organizzazioni internazionali».

MA QUESTA È COREOGRAFIA. Nel merito, la risoluzione che compatta la maggioranza si basa su un ossimoro messo giù nero su bianco, sfidando ogni logica, per consentire al Movimento 5 Stelle di mascherare la resa. Si conferma infatti la «logica di pacchetto», in base alla quale tutti e tre i capitoli della riforma andrebbero vagliati e approvati contestualmente con l’aggiunta che a detta logica si dovrà «accompagnare ogni tappa mirata ad assicurare l’equilibrio complessivo dei diversi elementi, approfondendo i punti critici». Dietro il fumo della prosa inqualificabile, sta a dire che la contestualità chiesta una settimana fa con toni ultimativi da Di Maio e riproposta ieri alla Camera da Stefano Fassina, di LeU, non ci sarà. Né potrebbe esserci. La riforma del Meccanismo europeo di stabilità è a un passo dalla firma. L’Edis, il Sistema europeo di assicurazione depositi, e l’Unione bancaria non arriveranno in porto prima del 2024, se tutto va bene.

LA RISOLUZIONE INDICA anche i punti precisi sui quali il governo italiano dovrebbe puntare i piedi: il no alla proposta di tetto per i titoli di stato detenuti dalle banche e all’ipotesi di «ponderare» i titoli di Stato dei diversi Paesi sulla base del rischio. In positivo, l’introduzione degli eurobond.

Una qualsiasi dichiarazione in questo senso, un impegno anche generico ma tale da indicare almeno disponibilità, quando il trattato sul Mes sarà approvato pur se non ancora firmato, alla fine di gennaio, permetterebbe ai 5 Stelle di difendere la scelta fatta ieri senza dover ammettere sconfitta e cedimento. Ma che quel segnale arrivi è molto poco probabile. Al momento, infatti, non se ne è vista traccia e il prossimo passaggio è fissato per giugno.