Andate a leggere sul sito dell’Agcom le tabelle sul pluralismo politico-televisivo che coprono il periodo lungo che va dal 29 dicembre al 29 gennaio. Vi troverete alcune cose interessanti: ad esempio che il movimento di Di Maio, per quanto presente, rimane molto sottodimensionato rispetto al suo peso politico; che la coalizione delle destre con i suoi candidati è di gran lunga la più visibile; che il feeling con il Pd di buona parte della informazione televisiva pubblica e privata è oramai cosa d’altri tempi, ed è quasi una nemesi storica dopo l’abbuffata renziana; che, ancora, s’è aperto uno spazio per il partito di Grasso ma non per le altre minoranze; che, infine, nei talk la par condicio è un miraggio, soprattutto nella fascia mattutina dove la destra ha una prevalenza lampante.

Più nel dettaglio potrete fare una graduatoria dei tiggì per scoprire che il più equilibrato è quello di Sky. Poi vengono la Rai e La7. Mentre in fondo troverete i telegiornali di Mediaset. «Stiamo andando al voto per la quarta volta con un leader politico proprietario di 3 reti televisive» protestava Nanni Moretti 12 anni fa: da allora nulla è cambiato. Così sui telegiornali di Mediaset il centrodestra ottiene il 30% del tempo di parola, il Pd il 23%, 18 il M5S. Le tv del Cavaliere, com’era prevedibile, quando sentono odor di urne ‘scendono in campo’ anche loro.

L’indicazione più ghiotta, però, la si ricava dall’importante, e finora inedito, monitoraggio delle rubriche extra-tg offerto dall’Agenzia, da cui si vede come la testa d’ariete della propaganda per l’ex Cavaliere siano proprio i programmi d’informazione e i talk show: qui il 44% del tempo di parola è appaltato alla destra (oltre la metà a Fi), il 26% va al Pd, il 17 ai 5 Stelle.

Tra di essi Quinta Colonna condotto da Paolo Del Debbio è di gran lunga il programma più fazioso e di parte, con il suo 56% del tempo di parola consegnato al centrodestra; ma anche Mattino 5 di Federica Panicucci non scherza affatto assicurando ai sodali di Berlusconi un ottimo 43%. Le tabelle da questo punto di vista sono quanto mai illuminanti e preziose: analizzano una per una le trasmissioni delle varie reti come non era ancora accaduto. Così viene fuori che nemmeno le rubriche extra-tg della Rai si sottraggono a questa perversa seduzione destrorsa. Anzi Bruno Vespa con il suo Porta a Porta, ad esempio, è riuscito a regalare nel mese di gennaio agli esponenti del centrodestra una presenza formidabile, certificata dal 45% del tempo di parola (insomma quanto tutti gli altri messi assieme, considerato il 12,5 al Pd, il 10 a Grasso e il 23 ai 5 Stelle). Non male, in questo senso, nemmeno Agorà che, con il 40% del tempo di parola alla destra, sta di poco sotto, seguita da Linea Notte con il 36%.

Non sfuggono a queste asimmetrie informative i programmi de La7, solitamente la più “intossicata” dal talk politicante: per Floris e il suo Di martedì destra e M5S “pari sono” con il 34% di tempo di parola a testa, mentre al Pd va il 19% e alla sinistra quasi il 10; Gruber a Otto e mezzo si mostra più in equilibrio solo grazie all’attenzione riservata alla neoformazione di Grasso che uguaglia il 16% del tempo di parola concesso al Pd (ai grillini e alla destra va il 28% ciascuno). Non così Giletti in Non è l’Arena, che ha garantito alla coalizione Berlusconi-Salvini-Meloni il 39% del tempo complessivo, compensato però da Formigli che nel suo Piazza Pulita ha offerto molto spazio a grillini e sinistra (58%) rispetto agli altri.

Il quadro non è affatto confortante. E forse è bene anche sottolineare come il pluralismo sia tutt’altra cosa dalla somma squilibrata di tante parzialità.