In una nota dei Quaderni del carcere, dal sapore autobiografico non del tutto celato, ma avente come oggetto reale Marx, Gramsci indicava quali fossero gli accorgimenti per «studiare la nascita di una concezione del mondo che dal suo fondatore non è stata mai esposta sistematicamente» e fra tali accorgimenti il lavoro filologico accurato veniva collocato al primo posto. Perché, si chiedeva il marxista sardo, è necessaria tanta cura con gli scritti marxiani? Perché si tratta di un pensatore «piuttosto irruento, di carattere polemico» il cui intelletto si trova «in continua creazione e in perpetuo movimento». La specificità dei toni polemici dell’opera di Marx, in specie del Capitale, unita ad una ricerca attenta e puntuale delle figure retoriche più ricorrenti soprattutto nel primo libro dell’opus magnum costituiscono il contenuto del lavoro che Elisabetta Mengaldo consegna alle lettrici e ai lettori (Retorica e polemica nel Capitale di Marx, Quodlibet, pp. 139, euro 12).

IL SAGGIO è denso e ricco nell’esame della dimensione poetica e retorica del Capitale che consente di rivelare quali fossero le capacità letterarie del Moro e come sapesse sapientemente utilizzarle al fine di rendere più solido l’ordito di storia, filosofia, economia di cui si avvale la sua opera maggiore. Un intreccio di critica e polemica, come ricorda l’autrice: «La critica vuole convincere l’interlocutore e/o lettore; la polemica vuole distruggere l’avversario». Le polemiche, spesso agite attraverso attacchi personali, poste il più delle volte in nota, riempiono di sé tutto quanto il Capitale con la loro asprezza; ne costituiscono elemento ineludibile.

L’asprezza nulla toglie alla raffinatezza della costruzione marxiana che si rivela ancora di più in quella che Mengaldo definisce «retorica della citazione». Il secondo capitolo del libro (Distorsione, commento e personificazione: il montaggio di citazioni del Capitale) è dedicato al tema. Partendo dal significato etimologico del termine «citazione» («chiamare in giudizio, convocare»), l’uso che Marx fa della citazione letteraria risulta «creativo, talora manipolativo», ma raramente teso ad assumere «un semplice valore documentario o di testimonianza». Ciò che maggiormente potrebbe intrigare la lettrice e il lettore è il riferimento all’uso creativo che il filosofo di Treviri fa delle citazioni. Cosa significa? Lo spiega l’autrice: si tratta di modificare le citazioni per integrarle nel testo e usarle per lo scopo che Marx si prefigge di raggiungere; questo vale per Dante, per Shakespeare, per Goethe, tutto documentato e pregevolmente analizzato da Mengaldo che, inoltre, classifica le citazioni in tre categorie: letterarie, polemiche, empatiche. Nella sostanza, scrive l’autrice, «l’opus magnum di Marx è esso stesso una “immane raccolta” di citazioni, un colossale e stratificato palinsesto».

Da questo palinsesto prende forma e vita un romanzo? Può, quindi, Il Capitale essere definito un romanzo? È stato inteso come la bibbia del materialismo storico e del marxismo, è stato analizzato sub specie politica ed economica, anche filosofica, ma ha valenza anche sub specie letteraria? La figura del capitalista infelice quasi costretto all’astinenza, ad una vita di privazioni e sacrifici nell’attesa che venga partorito il sistema di sfruttamento capitalistico si colloca dentro la storia lunga di quella che Marx intitola, nel capitolo 24 del primo libro, La cosiddetta accumulazione originaria, titolo nel quale, nota Mengaldo, «cosiddetta» è un aggettivo «vistoso e polemico». Quasi a chiudere il cerchio, ritorna il Marx polemico che usa le figure della retorica per criticare quanti hanno scritto di un «presunto stadio originario idillico in cui sarebbe stato magicamente accumulato il primo capitale».

NELLA STESSA NOTA a cui si è fatto riferimento all’inizio, Gramsci individuava nella ricerca «del leit-motiv, del ritmo del pensiero in isviluppo» l’importante per chi volesse dedicarsi allo studio di Marx. Mengaldo, con il suo lavoro, offre la possibilità di affrontare tale ricerca con una modalità nuova che ci restituisce un’immagine a tutto tondo di Marx e ci consente di comprendere il senso profondo della risposta che diede alle figlie quando gli chiesero quale fosse la sua occupazione preferita: «razzolare tra i libri».