Il 23 gennaio, per una aggressiva leucemia, ci ha lasciati Erik Olin Wright, il sociologo statunitense, che tanto ha contribuito, negli ultimi decenni, a un innovativo approccio marxista. Ce lo aveva indicato il caro compagno Vittorio Rieser, che lo considerava molto importante e anche molto utile dal punto di vista politico. Da allora abbiamo continuato a seguire il lavoro di Wright, impegnandoci, come Edizioni Punto Rosso, nella traduzione italiana dei suoi lavori (l’ultima novità è il volume Per un nuovo socialismo e una reale democrazia).

NEL SUO DIARIO pubblico, che lo ha accompagnato nella malattia, qualche giorno prima di andarsene ha scritto: «penso che il mio ostinato tentativo di rivitalizzare la tradizione marxista e renderla più profondamente rilevante per la giustizia sociale e la trasformazione sociale oggi si basi su una comprensione scientificamente valida di come il mondo funzioni effettivamente. Ma senza essere incorporato in un ambiente sociale in cui quelle idee erano discusse e collegate in modo sensibile e verificativo ai movimenti sociali, non sarei mai stato in grado di perseguire questo particolare insieme di idee».

ERIK non era un intellettuale tradizionale, ma un intellettuale attivista (militante, come Vittorio Rieser), cioè uno che partecipava e parteggiava, e anche un attivista intellettuale, cioè uno che tentava sempre di organizzare un lavoro di ricerca collettiva per una analisi complessa capace di produrre dei modelli di trasformazione sociale per ridare vita e senso politico al socialismo. Wright, parlando di cose molto complesse, cerca di dedurre un discorso facile, utilizzabile da tutti.
Tutti si rendono conto che il capitalismo provoca danni gravissimi, sia alle persone che all’ambiente. Solo che gli individui lo vivono sempre di più come una seconda natura e quindi lo considerano insuperabile.

Il primo punto è quindi capire che il capitalismo non è tutto, ma una forma storica e specifica di dominio della economia e quindi del metabolismo sociale (direbbe Istvan Meszaros) e che quindi sempre sopravvivono forme di relazione tra gli individui che resistono e che non sono uniformabili alla impersonalità distruttiva del capitale. Così gli uomini, associati o meno, hanno sempre resistito al capitalismo, sia organizzando la lotta di classe (il movimento dei lavoratori), oppure difendendo le proprie identità, sia «fuggendo» in forme alternative autorganizzate, sia cercando, ove possibile, di organizzare lo stato, in modo da limitare i danni e di «temperare» il capitalismo. Sempre la resistenza al capitalismo ha coniugato diverse strategie per contrastarlo, da quelle rivoluzionarie per «rompere» il capitalismo, a quelle «socialdemocratiche» per «addomesticarlo».

OGGI, SECONDO WRIGHT, proprio perché le strategie rivoluzionarie non possono funzionare (la lezione del comunismo storico), data la crescita enorme della complessità sociale, e di fronte al fallimento storico della socialdemocrazia, si tratta di proporre una nuova conformazione strategica complessa che punti alla «erosione» progressiva del capitalismo.
Così allargando il fronte della lotta di classe e facendo nascere e funzionare da subito elementi sempre più vasti e complessi di socialismo: autogestione della produzione, riduzione del tempo di lavoro, economia cooperativa, economia sociale e solidale, reddito di base incondizionato, finanza come servizio pubblico, ruolo economico dello stato, democratizzazione sostanziale delle istituzioni e dello stato (decentralizzazione) e molto altro, tenuto il tutto insieme da una nuova cultura politica per il superamento della dimensione esclusivamente privata della vita e centrata su effettivi e diffusi processi di democratizzazione della vita quotidiana, gli unici in grado di alimentare una partecipazione sociale effettiva, base sostanziale per la rinascita di soggetti sociali capaci di superare il capitalismo in qualcosa di diverso e di migliore. In una parola un nuovo socialismo, dove l’uguaglianza e la solidarietà sono meglio della competizione, non solo in termini di efficienza economica e sociale, ma anche in termini di felicità collettiva e individuale.

IL DISCORSO di Wright può sembrare, a prima vista, un poco ingenuo e semplicistico, ma non lo è affatto. Propone un punto di vista pieno di spunti concreti di lavoro (e il numeroso gruppo dei suoi «allievi» infatti fa ricerca nelle più disparate direzioni), ma soprattutto invita calorosamente a liberarsi da vecchie e nuove dicotomie ortodosse (rivoluzione/riforma, lavoro/reddito, democrazia diretta/rappresentanza, stato/mercato, ecc) che tanto hanno contribuito e contribuiscono alla natura anchilosata e senza idee della nostra sinistra europea e italiana.
Erik ci mancherà molto, ma come una ottima pianta che dà ottimi frutti, ha anche prodotto ottimi semi in grado di germogliare.