«Trovo giusto che in Sardegna si raccolga la memoria di quel passaggio politico che qui è stato così significativo e corale: dalla sezione Lenin, allora guidata da un compagno che abbiamo purtroppo perso presto, Salvatore Chessa, fino al manifesto. Una vicenda che vede Luigi Pintor protagonista ma che è anche storia collettiva, vostra qui in Sardegna e poi anche nostra, di noi che viviamo altrove. Come sono tutte le grandi storie appassionate. Per ormai molti decenni, nel bene e nel male, nonostante rotture e reciproci dissensi, le vite di chi ha percorso questo itinerario si sono intrecciate. Siamo tuttora, lo registro nel mio tanto girare per l’Italia, un collettivo di cui Luigi, finché ha vissuto, è stato protagonista. Nonostante fosse schivo e solitario, Luigi non era un individualista. I suoi sacrosanti e permanenti dubbi, il suo legittimo scetticismo non l’hanno mai fatto sentire lontano, non hanno mai dato luogo ad abbandoni. Perché Luigi era comunista. La parola sembra oggi impronunciabile, ma la dico, anche perché Luigi a questa definizione ci teneva». Così Luciana Castellina nel 2013 a Cagliari per il decennale della morte di Luigi Pintor. È da Pintor che bisogna cominciare la storia del manifesto in Sardegna. In altro modo, davvero, non si potrebbe.

LUIGI ARRIVA in Sardegna che ha appena tre mesi, nato nel settembre del 1925 in una famiglia di origini sarde. Un padre, Giuseppe, funzionario del Ministero dei lavori pubblici, e una madre, Adelaide Dore, insegnante. Quando a Giuseppe viene assegnato un incarico in Sardegna, nel novembre del 1925, tutti i Pintor (compresi gli altri figli Giaime, Silvia e Antonietta) si trasferiscono a Cagliari. Nelle pagine di uno dei libri più belli di Luigi, La signora Kirchgessner, l’approdo sull’isola emerge, dall’immaginazione più che dalla memoria, immerso nella luce invernale del Golfo degli Angeli. A Cagliari Luigi trascorre un’infanzia e un’adolescenza serene. Nel 1941, con l’entrata in guerra dell’Italia, tutta la famiglia ritorna a Roma. Dalla morte del padre (1941), Luigi a Roma si dedica alla pratica del pianoforte e prosegue gli studi, iniziati al liceo Dettori di Cagliari, nelle aule del liceo Tasso. Ciò che accade dopo è storia troppo nota per doverla qui richiamare.

Tranne il passaggio in Sardegna, che di fatto segna la nascita del collettivo del manifesto nell’isola.

IN SARDEGNA Pintor ritorna che ha quarantuno anni, nel 1966, come coordinatore della segreteria regionale del Pci. In un’intervista rilasciata nel 1977 ad Anna Maria Pisano, moglie di Salvatore Chessa, così Luigi ricorda: «La mia esperienza politica in Sardegna fu un esilio. Non capitai nell’isola per mia scelta o perché il mio lavoro lì fosse in qualche modo necessario. Ci capitai in conseguenza dell’XI congresso del Pci e della sconfitta, in quel congresso, delle posizioni politiche di Pietro Ingrao e della sinistra interna di cui facevo parte. Venni cioè spedito in Sardegna perché una diaspora degli oppositori rendeva più difficile il proseguimento della battaglia interna che avevamo ingaggiato. E nel mio caso fu scelta la Sardegna sia perché molto periferica sia perché ci avevo vissuto da ragazzino e questo offriva una giustificazione formale. Il Pci sardo era così sordo ai fermenti giovanili e intellettuali e al malessere di base già nell’aria prima del Sessantotto che la mia presenza, il fatto che dicessi cose diverse, bastò a fare di me un punto di riferimento e anche di stimolo per i quadri più giovani, intellettualmente più vivaci e meno conformisti. O anche per quei compagni che, per le ragioni le più diverse, si trovavano già in polemica con il gruppo dirigente locale».

Per Pintor l’impegno della sinistra andava fatto vivere a livello sociale, ancorandolo alla prospettiva di un cambiamento radicale della società sarda. Un lavoro non facile, con tante vischiosità da sciogliere e tante resistenze da superare, in un periodo, gli anni che vanno dal 1966 al 1969, di intensa lotta politica dentro e fuori il Pci.

LA NASCITA di una giovane classe operaia nei poli industriali di Porto Torres e di Sarroch smuove molto dentro il partito. Così come il saldarsi del movimento studentesco con le rivendicazioni di pastori e contadini non più disposti a sopportare il dominio assoluto della rendita fondiaria nelle campagne. A questo si aggiunge la crescita, anche in Sardegna, di un vasto arcipelago di realtà di movimento legate al maturare di una coscienza femminista e ambientalista. Tutto ciò confluisce, a Cagliari, nel lavoro di organizzazione e di mobilitazione politica della sezione Lenin del Pci, che, specie dopo l’arrivo nell’isola di Pintor, diventa il punto di riferimento della battaglia di rinnovamento all’interno del partito. Operai, donne, giovani, studenti, intellettuali iscritti alla Lenin diventano, in quegli anni, un nucleo molto combattivo impegnato a legare l’iniziativa politica del Pci alle domande che i movimenti in atto nella società ponevano con determinazione. E quando Pintor, nel novembre del 1969, viene radiato dal Pci insieme al gruppo della nuova sinistra, gli iscritti alla Lenin passano in massa al collettivo che si raccoglie prima attorno alla rivista il manifesto e poi al quotidiano. Tirandosi dietro molte adesioni nelle altre città dell’isola ma anche tra i circoli giovanili che allora animavano la vita politica e culturale delle zone più interne dell’isola.

DIETRO LE BATTAGLIE di quegli anni c’era una visione della politica e del ruolo della sinistra che, tra mille tempeste, il collettivo del manifesto ha continuato sino ad oggi a rappresentare e nella quale oggi in Sardegna ancora si riconosce, insieme a un nucleo forte di comunisti senza partito, un campo di forze sociali e intellettuali che, di fronte a un mondo che non ha per niente smesso di girare storto, sono impegnate in vari modi a elaborare una prospettiva di mutamento radicale. Un universo per il quale il ritorno, sia pure temporaneo, del manifesto nelle edicole sarde è una festa.