In che modo gli stati autocratici riescono a rendere i cittadini parte della loro macchina? È a partire da questa domanda che comincia Il male non esiste, Orso d’oro alla Berlinale del 2020, da domani in sala, che nella sua riflessione va oltre ogni presente interrogando il sentimento di responsabilità individuale nei suoi molteplici aspetti e soprattutto nelle sue infinite contraddizioni.
Siamo in Iran, il paese del regista, Mohammad Rasoulof che questo dilemma tra obbedienza e disobbedienza, con le conseguenze che il secondo punto comporta, lo ha vissuto in prima persona subendo con la sua scelta «disobbediente» una condanna all’invisibilità: censura del suo cinema, prigione, divieto di viaggiare come Jafar Panahi col quale Rasoulof venne arrestato nel 2010, entrambi accusati di «cospirazione» – i due registi stavano preparando un film senza permessi e avevano preso posizione contro il presidente Ahmadinejad schierandosi a fianco del movimento dell’«Onda verde». Rasoulof venne condannato a sei anni ridotti poi a uno, ma nel 2017 le autorità iraniane gli hanno ritirato nuovamente il passaporto per «propaganda contro il sistema e attentato alla sicurezza nazionale» a causa del suo film, A Man of Integrity – presentato e premiato a Cannes nel Certain Regard. La pena stavolta è un anno con l’obbligo di non uscire dal Paese.

L’IDEA che sostiene Il male non esiste, come ha raccontato, gli è venuta vedendo per caso uno dei poliziotti che lo aveva interrogato uscire da una banca: una quotidianità «normale» ma come si fa a conciliarla col resto? Come si può stare in famiglia, giocare coi figli e andare al lavoro, nel caso del poliziotto, accettando ciò che comporta il sistema iraniano, soprusi, violenza, ingiustizie fino alla pena di morte di cui il paese detiene il primato per numero di esecuzioni?
Ma se questo è il riferimento su cui si costruiscono le diverse storie il film non è «sulla» pena di morte, al centro e nel parlarne mantiene quell’indagine sulle scelte individuali – di fronte al potere e alla società – resa esplicita nelle parole di uno dei suoi personaggi, una donna che aveva un ruolo sociale molto rilevante e che si è ritirata in campagna. Al giovane fidanzato della figlia che le chiede perché ha deciso di sparire così radicalmente dalla vita pubblica, lei replica che a un certo punto si deve dire di no, che non si possono solo accettare le «regole» quando rappresentano uno strumento di privazione delle libertà.
Dunque come rispondere alla violenza, alla sopraffazione, alla negazione del diritto? Voltando lo sguardo nell’indifferenza o rifiutare quanto viene richiesto, assumendosi appunto le responsabilità – e le conseguenze spesso dolorosissime – della proprio gesto? Il ragazzo sta facendo il servizio militare, accetta ogni richiesta per non subire pene. In quella casa piena di libri, di una famiglia che si intuisce intellettuale e dissidente, viveva anche un’altra persona, che è stata giustiziata per le sue idee: non è qualcosa che riguarda tutti, e specie chi come lui non vuole sapere, e accetta le versioni ufficiali nelle quali i condannati sono descritti solo come ladri o assassini pericolosi?

ATTRAVERSO quattro capitoli, ciascuno una storia a sé – Il Diavolo non esiste; Lei ha detto: lo puoi fare; Compleanno; Baciami – Rasoulof esplora – e costruisce – diversi punti di vista, che sono altrettante risposte e attitudini, frammenti di una trama sociale in cui nessuno dei personaggi si conosce eppure finisce per incrociare i propri destini. C’è una famigliola, il padre premuroso con la moglie, che è insegnante, si occupa della madre anziana e malandata, le cucina la cena e le fa la spesa, adora la piccola figlia, una principessina, e anche se ha fatto il turno di notte salva un gattino rimasto impigliato nei tubi del condominio. Non sembra mai aggressivo a differenza della moglie che giudica le allieve eccessivamente libere, e patisce con rabbia la sua mancanza di autonomia come donna – anche per ritirare i soldi in banca c’è bisogno del marito. Sembrano una famiglia come tante altre, ma quale è il lavoro che costringe l’uomo a svegliarsi nel cuore della notte svuotandogli lo sguardo? Lo scopriremo (senza «spoiler») tra le diverse declinazioni di quel «male» che non esiste, in cui si specchiano il sentimento collettivo, le azioni di ciascuno – vivere tranquilli senza farsi domande o accettare i rischi. E non si tratta di diventare eroi ma, appunto, di responsabilità delle decisioni che si prendono non imputando la «colpa» solo alla società autoritaria.

COSÌ se un ragazzo rifiuta di eseguire una condanna a morte, con tutto ciò che comporta, niente lavoro, patente, diritti, passaporto, un’esistenza in fuga, l’altro per avere tre giorni di permesso accetta. C’è poi una ragazza iraniana cresciuta in Germania, il padre amatissimo è medico, è andata in Iran su sua richiesta per incontrare uno strano zio: non sa perché, l’uomo deve raccontarle qualcosa. Anche lui a suo tempo aveva rifiutato il servizio militare: o è lo stesso che abbiamo visto prima oggi?
Il tempo è circolare, come in una sorta di ripetizione della «banalità del male» alla quale sembra facile adeguarsi, modellandovi il proprio essere al mondo contro chi invece non accetta, opponendo la linea delle proprie convinzioni. Nel suo racconto morale di cui si intuisce l’urgenza, e dove i sogni di ribellione sono affidati a Bella ciao versione Milva, Rasoulof mette in gioco per primo se stesso, il ruolo dell’artista di fronte a quel sistema, che se fa della propria ricerca uno spazio di resistenza viene condannato all’isolamento. La sua esperienza lo dimostra ma ci dice anche quanto sia importante lavorare per costruire zone di dissenso, un pensiero che rifiuta di arrendersi guardando al futuro.