Da molti giorni Los Angeles è tappezzata di mostruosi cartelloni che raffigurano un gigantesco occhio da cui fuoriesce un verme. Esaminato da una mano protetta con un guanto chirurgico lo sguardo emana panico e orrore. La campagna ha suscitato polemiche, proteste e petizioni di genitori che ne chiedevano la rimozione, ovvero tutte quelle reazioni che accompagnano una campagna pubblicitaria di successo. Oggetto del lancio è The Strain, la nuova serie horror sul canale FX che Guillermo Del Toro ha realizzato adattando tre suoi romanzi scritti a quattro mani con Chuck Hogan. Prodotta da Carlton Cuse (Lost), è una storia di vampirismo pandemico che inizia con l’atterraggio a New York di un aereo con a bordo solo cadaveri.
Dall’esordio con Cronos (1993) il regista di Guadalajara, oggi cinquantenne, si è imposto come una delle voci più originali nel panorama dell’horror/fantasy. Nerd impenitente, fanatico del genere, Del Toro metabolizza influenze asiatiche, manga, anime e kaiju con l’horror filologico e le ossessioni personali, come le guerre degli anni ’30-’40 che sono state all’origine di capolavori quali La Spina del Diavolo e Il Labirinto del Fauno, nonchè della saga Hellboy, frutto della collaborazione con Mike Mignola. Esponente della nuova onda messicana, Del Toro, come i suoi amici e compatrioti, di cui è stato produttore, Alfonso Cuarón (per Rudo y Cursi) e Alejandro González Iñárritu (per Biutiful), oggi lavora a Hollywood. Con la famiglia vive in «un normale quartiere middle-class», mantenendo altre due cas, che ha fatto costruire poco lontano per ospitare la sua enciclopedica collezione di souvenirs, manifesti, modellini e reperti di cinema fantasy. «A un certo punto ho deciso che non c’era ragione perchè non vivessi finalmente come avevo sempre sognato di fare quando avevo nove anni. Così ho costruito le mie case delle meraviglie con passaggi segreti, librerie girevoli, e una stanza in cui piove 24 ore al giorno. Ora sono l’uomo più felice del mondo».

«Strain» è una storia di vampiri, zombie, demoni o tutti e tre?

Non dimentichi i politici (ride, ndr). Sostanzialmente di vampiri, sono esseri che mi affascinano sin da quando sono ragazzo, e sui quali raccolgo informazioni da anni. Ma non soltanto i vampiri della tradizione romantica; mi interessa ogni dettaglio della loro mitologia, in particolare quella dell’est Europa sugli Strigoi, raffigurati con un pungiglione sotto la lingua. Molti non se ne rendono conto ma i vampiri sono anche all’origine dell’attuale cosmologia zombie. Il padre degli zombie, Romero, per La Notte del Morti Viventi si è ispirato soprattutto a I Am Legend (Io sono leggenda) di Richard Matheson – che poi è stata adattato per i film con Vincent Price, Charlton Heston e Will Smith. Ma siccome non riuscì ad acquisire i diritti si è inventato quelle nuove creature che invece di succhiare il sangue mangiano i vivi.

Lo stile della serie televisiva è inconfondibilmente Del Toro.

Volevo che fosse molto pulp, e che funzionasse nell’ambito di questo genere. Un hamburger deve prima di tutto sapere di hamburger, potrà essere di una marca o di un’altra ma soprattutto deve essere riconoscibile come tale. Se poi faccio bene il mio lavoro, potranno emergere altri elementi «sommersi». Per esempio: c’è una scena in cui un soldato nazista in un campo di concentramento spiega a un prigioniero come gli uomini vogliono essere dominati, eleggendo per questo leader che li opprimono. Molti anni dopo ritroviamo lo stesso uomo al servizio di un altro padrone oscuro. Ho cercato di sviluppare una riflessione sul male nelle sue diverse declinazioni.

Non è la prima volte che lei mescola horror e politica. Considera la politica una sorta di horror?

Francamente sì, anche se non mi interessa fare un manifesto, credo che i singoli elementi narrativi possono avere in sé un senso «politico», comprese la violenza e la brutalità. Però non ho cercato di fare Furore con i vampiri. Voglio divertire cucinando un delizioso doppio cheeseburger infarcito di sangue e gore, e ammiccare così agli appassionati del genere.

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Un genere di cui ha una conoscenza enciclopedica. Viste le varianti, molte delle quali in televisione, si sente come un guardiano dell’integrità horror-fantasy?

Anche se fosse non vuol dire che io sia un reazionario o un nostalgico. Credo che l’horror sia un linguaggio in evoluzione con una componente molto soggettiva, un pò come il senso dell’umorismo. Posso convincere, ad esempio, un tredicenne a guardare Vampyr di Dreyer spiegandogli che si tratta del film più etereo,sublime e spirituale mai girato, e lui probabilmente lo troverà noioso! L’horror è un genere che ti tocca intimamente, le nostre paure ci definiscono, raccontano chi siamo. Io sono un appassionato e uno studioso del genere da oltre 40 anni, sin da quando bambino. Guardo e divoro tutto quello che posso ma allo stesso tempo non mi considero un purista, amo le contaminazioni inattese, oblique, alchemiche. Un regista che ammiro follemente è John Carpenter; quando è uscito La Cosa venne distrutto dalla critica, e Essi Vivono deriso come un film di serie Z. A me invece sembravano capolavori, fantastiche opere d’avanguardia, illuminanti.

Quanto è presente il suo paese d’origine nei suoi film?

Sono messicano ma non per questo sono cresciuto in un museo folklorico. Al contrario da ragazzo i miei riferimenti erano i manga, i film della Hammer,i mostri della Universal,la letteratura europea. Però a ben vedere qualcosa di messicano nei miei film c’è,ed è la passione con cui amo i miei mostri. È la stessa che ci lega, in Messico, agli alebrijes (figure fantastiche del folklore oaxaqueño, ndr) o al dia de los muertos,il modo cioè assolutamente «naturale» con cui nel mio paese si celebra la mostruosità. In Strain c’è il personaggio di un lottatore mascherato come quelli della lucha libre messicana, lo avevo in mente da tanto tempo e finalmente ho avuto l’occasione di raccontarlo. Dalla cultura messicana proviene anche la visione di un cattolicesimo pieno di sensi di colpa e redenzione attraverso il dolore, e forse il modo di mescolarlo alle mostruosità dell’horror.

Lei ha davvero paura di qualcosa?

Mi spaventano soprattutto i governi e gli uomini politici perchè rappresentano un mondo in cui tutto è truccato, un gioco organizzato in cui i potenti rimangono potenti e i sottomessi rimangono sottomessi. Mi spaventa anche il politically correct che è diventato una forma di controllo. Mi spaventa il fatto che il 90% dei semi al mondo siano stati distrutti e gli altri 10% sono controllati da corporation dedite al Ogm, e mi spaventano le guerre combattute per il controllo delle risorse e delle materie prime. Mi spaventa talmente il mondo reale che mi rifugio tra i mostri (ride,ndr). Per me rappresentano i santi di una religione che è soltanto mia, sono fatto così e non credo che cambierò. Il mondo ai miei occhi rimarrà sempre diviso fra incanto e orrore, e credo che oggi stiamo vivendo nel periodo più fantastico e allo stesso tempo più orribile di sempre. Carpenter l’aveva capito benissimo, e anche per questo l’ammiro.

A proposito di mostri sacri,cosa pensa dell’autore forse più prolifico nel suo campo, cioè Stephen King?

Lo trovo uno scrittore straordinario,ha un senso del mondo che è specificamente americano,ma come diceva Hitchcock,il modo migliore per essere universali è essere molto locali. La storia dell’horror ha quattro stadi. Inizia nel medioevo, poi viene riscoperto in chiave romantica nel Settecento quando nasce il romanzo gotico. Nell’Ottocento si trasferisce nelle magioni diroccate e nei castelli del Mediterraneo tra dame vittoriane e forestieri ombrosi. Poi, nell’era moderna due persone ne influenzano profondamente il corso: Richard Matheson con I am Legend lo traghetta in America, e Stephen King ce lo avvicina ancora di più. Con lui l’orrore entra nelle nostre città, quelle cittadine modello con la gente in bicicletta e le foglie cadute per strada. King ci spaventa in camera da letto, nel salotto di casa nostra con la televisione accesa e lo spuntino sul tavolo. Non si tratta più di una duchessa del Settecento e del suo fantasma incatenato. Adesso il protagonista è un tizio che mangia un panino davanti al piccolo schermo mentre c’è qualcosa di terrificante che cerca di entrare dalla finestra. E questo fa infinitamente più paura.