Il macchinista braccato da Trenitalia
Persecuzioni sul Lavoro Nuove sanzioni disciplinari per Dante De Angelis, già licenziato due volte per le sue denunce e le sue opinioni. Ma stavolta il dirigente Fs che l’ha fatto scendere dai treni è stato rimosso dall’incarico
Persecuzioni sul Lavoro Nuove sanzioni disciplinari per Dante De Angelis, già licenziato due volte per le sue denunce e le sue opinioni. Ma stavolta il dirigente Fs che l’ha fatto scendere dai treni è stato rimosso dall’incarico
Licenziato due volte per le sue denunce per la sicurezza sui treni, Dante De Angelis continua ad essere oggetto delle attenzioni di Trenitalia. Macchinista e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sempre eletto dai colleghi continua ad avere il brutto vizio di parlare e scrivere contro le ingiustizie, come il personaggio della Locomotiva di Guccini.
In questi giorni è alle prese con l’ennesimo procedimento disciplinare comminnatogli dall’azienda per cui lavora ormai da oltre 37 anni, mentre la Corte di Appello di Roma lo ha appena «assolto» da altri 10 giorni di sospensione avuti nel 2010.
RIASSUMERE LA SUA VICENDA passata necessita di grande capacità di sintesi. Il primo licenziamento risale al 2006 quando, in coerenza con la lotta sindacale, si rifiutò di guidare un treno con il famigerato «uomo morto» – il vetusto sistema a pedale per controllare l’attenzione del macchinista introdotto da Fs per inserire l’agente unico e togliere un macchinista in cabina. La solidarietà dei colleghi che organizzarono una cassa di resistenza e di tanta parte della sinistra produsse una indignazione senza precedenti contro Trenitalia. Il reintegro arrivò grazie ad un accordo davanti al giudice.
CHIUNQUE DA QUEL GIORNO avrebbe prestato massima attenzione ad evitare proteste e dichiarazioni. Non Dante. Che nel 2010 denunciò una serie di «spezzamenti» – ben 13 in 6 mesi – degli Eurostar, i Frecciarossa dell’epoca, come «campanello di allarme sulla questione della manutenzione, della progettazione e dei controlli sugli Etr». Una dichiarazione che lo portò al secondo licenziamento per «procurato allarme». De Angelis rifiutò anche l’abiura richiesta per tornare al lavoro e dopo essere stato reintegrato dalla sentenza del tribunale del lavoro, in secondo grado patteggiò con l’azienda il ritorno al lavoro.
Passano pochi mesi e Dante, sempre tenuto sotto controllo dall’azienda, riceve una nuova contestazione disciplinare. Questa volta la sua colpa è doppia. Da una parte la solidarietà espressa agli operai della Fiat licenziati da Marchionne a Melfi, reintegrati dal giudice ma lasciati fuori da Fca che pagava loro lo stipendio per non fare niente per colpire la loro dignità. Dall’altra una intervista al Tirreno mal riportata dal giornalista che aveva trasformato in «mesi» il numero di morti all’«anno» per guasti alle porte e decessi per infortuni sul lavoro.
L’AZIENDA STAVOLTA SI LIMITA a dieci giorni di sospensione. Ma anche in questa occasione alla fine «la giustizia proletaria» ha trionfato. Il 19 luglio la corte di appello di Roma ha ribaltato la sentenza di primo grado che aveva confermato la sospensione, considerandola illegittima e condannando Trenitalia «al pagamento di 693,72 euro pari alla retribuzione non percepita per i giorni di sospensione, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali».
In ogni licenziamento e ogni procedimento l’azienda cita l’obbigo di fedeltà del dipendente sancito dal Codice civile. E ogni sentenza di reintegro invece conferma come la libertà di espressione della persona garantita dalla Costituzione, rafforzata dal ruolo di sindacalista e di Rls, sia di rango superiore al codice civile.
L’ULTIMO CAPITOLO – SI SPERA – di questa interminabile sequela di provvedimenti disciplinari è avvenuta circa un mese fa. Il responsabile nazionale del servizio Intercity, suo «datore di lavoro», si è presentato in persona, insieme ad altri «quadri dirigenziali Trenitalia» in ben due occasioni ravvicinate, il 19 e il 25 luglio, a due treni Intercity che Dante era in procinto di guidare. Gli hanno intimato di scendere, di farsi sostituire nella sua mansione di macchinista con la motivazione che non indossava la divisa regolamentare. La seconda volta addirittura accompagnati dalla Polfer, la polizia ferroviaria.
SE I SUOI COLLEGHI E I SINDACATI hanno parlato senza remore di «pretesti» per una vera «persecuzione», l’abitudine ad essere controllato e l’esperienza ormai decennale in procedimenti disciplinari ha portato Dante a scrivere una lunga e dettagliata lettera all’attuale amministratore delegato di Trenitalia Orazio Iacono. E questa volta l’oggetto della missiva non è una «giustificazione» per un procedimento disciplinare ma un «reclamo in merito a comportamenti di un dirigente e richiesta di tutela». Si tratta di Adriano Scapati, manager di lungo corso, per sei anni a capo della divisione Frecciabianca e dall’anno scorso a capo dell’unità denominata Intercity. Nella lettera De Angelis spiega l’accaduto. Scapati assieme a vari funzionari «si è presentato personalmente al treno a Roma Ostiense per consegnarmi in cabina di guida, dove avevo già preso posto, una lettera di esonero dal servizio e una contestazione disciplinare». E ancora: «in considerazione delle velate minacce ricevute – “vedrai che non finisce qui…”, “rischi una denuncia per interruzione di pubblico servizio” – (…) ho ragionevolmente dato seguito a quella indicazione scendendo dal treno pur restando a disposizione». Sei giorni dopo stessa scena a Roma Termini: sempre Scapati accompagnato da funzionari che consegna a De Angelis «un ordine scritto con cui ero sollevato dal servizio per non aver dalle ore 7 e 11 indossato la divisa pur avendola ritirata».
LA QUESTIONE del riconoscimento delle modalità di vestizione – il cosiddetto «tempo divisa» – è al centro di una causa collettiva e ancora in corso con un «contenzioso di natura interpretativa». Ma di certo non basta a spiegare il comportamento del dirigente. In questo secondo caso De Angelis non è sceso dal treno e allora Scapati ha chiesto l’intervento della Polfer dicendo: «Qui i treni li comando tutti io..». De Angelis questa seconda volta non è sceso dalla cabina ma ha «ritenuto giusto e doveroso resistere al demansionamento sul campo e privazione della retribuzione senza una procedura che consentisse di far valere le sue ragioni ed esercitare il diritto di difesa» per la mancanza di un «nuovo ordine in deroga» scritto. Cosicchè gli unici a pagare l’intervento del dirigente sono stati i passeggeri: con il ritardo in partenza del treno. Nella lettera De Angelis chiede di «essere tutelato dai comportamenti così atipici del dirigente, da me percepiti come molto aggressivi e discriminatori» che «possono avere origini da fattori di natura personale, presumibilmente legati alla mia attività di Rls».
SCAPATI NON È NUOVO a scontri con i sindacalisti. Già nel 2012 i sindacati delle Marche proclamarono unitariamente uno «stato di agitazione del personale» per il suo comportamento ad un tavolo di confronto e nell’estate del 2017 anche quelli liguri per aver demansionato due macchinisti che avevano chiesto di sostituire una locomotiva con il condizionamento in cabina guasto.
Pochi giorni dopo la lettera di De Angelis, per la precisone il 30 luglio, l’ad di Trenitalia Orazio Iacono ha deciso di trasferire Scapati ad una nuova funzione a decorrere dal primo agosto all’interno di un nuovo ordine di servizio: «è istituita la posizione di macro project manager integrazione manutenzione ciclica». Non appare di certo una promozione.
NEL FRATTEMPO C’È DA STARNE certi: Dante De Angelis continuerà a denunciare ogni forma di insicurezza. Magari con la sola premura di farlo utilizzando la nuova legge 179 del 2017 sul whistleblowing che tutela i dipendenti, piuttosto che farlo in modo anonimo, «sarebbe – sostiene lui – la negazione del diritto di cittadinanaza e della libertà di pensiero e di parola, prima ancora che di quella sindacale».
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L’ULTIMA BATTAGLIA E’ PER GLI APPRENDISTI
L’ultima battaglia di Dante De Angelis – e dei sindacati – è contro i recenti licenziamenti degli apprendisti. Si tratta dell’unica via con cui le Fs hanno assunto negli ultimi anni: per macchinisti e capitreno Trenitalia ha deciso di utilizzare il contratto di apprendistato formalizzante. Giovani sono stati assunti con questo contratto che prevede prima una fase di formazione e dopo pochi mesi svolgono le stesse mansioni di macchinisti e capitreno esporti. Il primo caso di recesso è avvenuto qualche giorno fa in Toscana: al termine dei 36 mesi del contratto di apprendistato a due giovani capitreno non è stato tramutato in contratto a tempo indeterminato. Se Filt Cgil, Fit Cisl, Uilt Fast, Ugl e Orsa regionali toscani contestano di «non essere state informate» e parlano di «strani colloqui» «per evitare atteggiamenti non collaborativi» degli apprendisti, gli attivisti di base, Cat, Cub e Usb denunciano «la nefasta pratica» e preannunciano «uno sciopero di solidarietà». Dante De Angelis, in qualità di Rls, ha inviato una lettera ai dirigenti Trenitalia in cui denuncia «il rischio sicurezza» «insito nelle inadeguate modalità della formazione adottate». In più «l’inevitabile e crescente timore» degli apprendisti «alla luce dei recenti “licenziamenti”, inibisca il loro diritto-dovere di segnalare criticità e problemi incontrati durante il lavoro».
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