Mentre ancora si vota per scegliere i trenta portavoce che chiuderanno con un dibattito pubblico gli Stati generali del Movimento 5 Stelle, viene divulgato l’elenco dei rappresentanti che sono stati scelti la scorsa settimana dalle assemblee regionali. Si tratta di 305 tra parlamentari, amministratori locali e semplici attivisti che si confronteranno sabato 14 nel corso dei tre tavoli di lavoro dedicati rispettivamente a temi e agenda politica, organizzazione e struttura, principi e regole.

LA COMPOSIZIONE trasversale dell’elenco dei partecipanti al momento pare confermare l’efficacia dell’impostazione voluta dai vertici: depotenziare i consessi territoriali sminandoli da ogni argomento divisivo. Per ottenere questo risultato si è partiti dai punti fermi del capo politico e del voto su Rousseau. «I nostri unici organi con poteri decisionali sono l’assemblea degli iscritti e il capo politico – spiegano dal M5S – Ciò significa che sulle assemblee regionali non cadeva la responsabilità di decidere la linea e non c’era bisogno di arrivare al confronto tra mozioni contrapposte». Ecco perché si è puntato su eventi che «a forza di scremature e di confronto» arriveranno a definire il testo che verrà messo al voto online. «La personalizzazione viene accantonata se sai di far parte di un flusso», è il ragionamento che proviene dalla camera di regia grillina. Anche se ai personalismi viene lasciato proprio lo spazio del momento conclusivo, che a questo punto è quello destinato a raccogliere le differenze più evidenti. Ieri Luigi Di Maio ha confermato la sua candidatura per essere parte dei trenta che dibatteranno. «Io come sempre mi metto in gioco, ci metto la faccia – dice il ministro degli esteri – L’ho dimostrato anche al referendum sul taglio dei parlamentari».

ALCUNE DELLE NOVITÀ potrebbero venire proprio dai documenti di sintesi preparati al termine delle assemblee territoriali. Verranno diffusi nei prossimi giorni ma dalle anticipazioni che trapelano si mettono in dubbio molti dei punti fermi del M5S nei suoi primi dieci anni di vita. A partire dalla questione dei finanziamenti. «Nell’ottica di avere persone retribuite che si occupino del M5S e maggiore attività territoriale – si legge ad esempio – è necessario avere a disposizioni maggiori fondi e che le restituzioni dei portavoce possano non bastare». La presa d’atto dei costi della politica va di pari passo con la «creazione di un luogo fisico di riferimento»: «Spazi 5 Stelle» dove «gli attivisti, insieme ai portavoce, potranno incontrarsi e organizzarsi». Sedi di partito.

ALTRO TABÙ: il rapporto col codice di procedura penale. In uno dei documenti si segnala «il bisogno di essere più elastici in merito al tema degli avvisi di garanzia» dal momento che «risulta molto semplice risultare indagati per reati amministrativi e si rischia di dover rinunciare a delle persone capaci con esperienze importanti». Vacilla anche il boicottaggio delle elezioni di secondo livello per le province e le città metropolitane, finora ritenuti enti inutili: «Molti temi strategici sono centrali all’interno di quelle istituzioni e si ritiene dannoso non partecipare». In molti dei testi viene riconosciuto a Rousseau un ruolo «fondamentale» ma allo stesso tempo si contesta il modello «fortemente accentrato della piattaforma». Nell’assemblea campana si prevede chiaramente che la piattaforma sia di proprietà «del Movimento e gestita dallo stesso e non dall’Associazione Rousseau».

DEL VECCHIO M5S pare reggere un tratto identitario come la regola del tetto dei due mandati per consiglieri regionali e parlamentari nazionali ed europei. Sulla leadership, la maggior parte dei territori propone il superamento della figura del capo politico, da sostituire con un organo collegiale «in numero dispari»: alcune regioni prevedono che comunque questo organismo possa dotarsi di un «primus inter pares», una figura che snellisca i processi, faccia sintesi e si rapporti con le altre forze politiche. Con le quali non si prevedono alleanze «strutturali», bensì accordi valutati caso per caso.