A Cape Town ieri la politica è scesa dagli spalti. Dopo la parata di due giorni fa allo stadio di Johannesburg di capi di stato e teste coronate, dittatori e leader politici ricercati per crimini contro l’umanità, vecchi amici e nemici smemorati corsi a riservarsi un posto nell’album di chi c’era e nella lista dei partner che contano, è nel Capo – lontano dai riflettori delle lobby mediatiche – che lo spirito festoso africano si è serenamente espresso e la politica ha mostrato il suo lato meno incipriato.

Dopo Johannesburg è stata la volta della Mother City – come è anche comunemente nota Città del Capo – che ha voluto celebrare Nelson Mandela con una commemorazione musicale allo stadio: Nelson Mandela – A Life Celebrated.

Mai prima di ieri era accaduto di vedere nell’unica provincia, delle nove sudafricane, governata dalla Democratic alliance (Da) – il maggior partito d’opposizione – rappresentanti e leader politici degli opposti schieramenti, di norma ai ferri corti, attraversare insieme lo stadio sorridenti e gioiosi per salutare la folla.

Il sindaco di Cape Town, Patricia De Lille (Da) accanto al ministro Trevor Manuel e ad altri rappresentanti dell’African national congress (Anc). Sul palco dopo sarà la stessa presidente della provincia del Western Cape, Hellen Zille (Da anche lei), a tentennare parole in xhosa in onore di Mandela e urlare col pugno chiuso «Lunga vita a Madiba». Seguito da Trevor Manuel, ex ministro delle Finanze di Mandela e Thabo Mbeki, che ha iniziato a parlare urlando un «Long live the spirit of Nelson Mandela».

Il Paese è in lutto in ogni suo angolo, ma allo stesso tempo è in festa, e questo è tipicamente nello spirito africano, perché celebra un passaggio a miglior vita dell’uomo per cui oggi neri e bianchi camminano insieme e festeggia la sua liberazione da decenni di segregazione razziale, economica e culturale, dalle chiusure mentali, dalle paure verso il mondo e verso l’altro. Danza e canta inni alla vita nuova che la lotta politica e armata, il rigore e la perseveranza, il coraggio dell’uomo «pronto a morire» per un Sudafrica altro e diverso da quello dell’apartheid ha reso possibile.

Di scena in questi giorni è soprattutto l’orgoglio africano e nero, quello della gente comune soprattutto black che celebra la sua storia recente, ma anche quello della nazione, di bianchi, indiani, neri e coloured di ogni estrazione sociale che si riconoscono nell’unità della Rainbow Nation in nome dell’eredità lasciata da Madiba.

Il Sudafrica che due giorni fa è stato tenuto ai margini allo stadio Fnb di Johannesburg dalla politica coronata e di facciata, ieri ha riempito piano piano e serenamente gli spalti dello stadio di Cape Town in una commemorazione più dimessa e meno altisonante ma probabilmente più libera da vincoli ufficiali e soprattutto più danzante.

Tra gli artisti sudafricani sul palco sono saliti Johnny Clegg, noto come «lo zulu bianco», voce di protesta tra le più apprezzate – in zulu e in inglese – contro il regime dell’apartheid, i Freshlyground e Ladysmith Black Mambazo, oltre ai Bala Brothers e agli Allou April.

Ospite d’eccezione una Annie Lennox in maglietta nera con su scritto Hiv positive. «Cosa diceva Madiba? Stop alla violenza. Giustizia, libertà e rispetto».

A ricordare per primo Mandela tra gli applausi della gente è stato l’ex capitano degli Springboks François Pienaar, il cui nome resta legato a quell’immagine di Mandela che con la maglietta della squadra della nazionale attraversa l’Ellis Park stadium di Johannesburg per stringergli la mano dopo la vittoria ai Mondiali di rugby del 1995, nella finale contro la Nuova Zelanda.

Dopo la sfilata dei doppiopetti e delle litanie della retorica in lutto allo stadio di Johannesburg, ieri è stata anche la giornata in cui Nelson Mandela, che ha cambiato radicalmente le vite di milioni di neri e le menti di altrettanti bianchi, è ritornato nelle mani della sua gente.

Le spoglie di Madiba hanno lasciato ieri mattina poco dopo le 7 il Military Hospital per raggiungere l’Union Building di Pretoria, il palazzo che nel 1995 lo tenne a battesimo quale primo Presidente nero democraticamente eletto della società multirazziale e culturale sudafricana vittima, prima di lui, del più grande sopruso di cui l’indole umana è capace, l’oppressione e lo sfruttamento di un proprio simile.

Avvolta nella bandiera nazionale, la bara di Mandela ha percorso in carro funebre Kgosi Mampuru Street e Madiba Street scortata dalle motociclette della polizia e, lungo il ciglio delle strade, dai sorrisi e dai cuori di migliaia accorsi per salutarlo. Ad accogliere la bara alla camera ardente dell’Union Building, il nipote Mandla Mandela in abito scuro ed espressione cupa.

In mattinata erano stati i membri della famiglia, tra cui la moglie Graça Machel, ad aver reso omaggio alla salma, insieme a Zuma e ad altri rappresentanti politici. Nel pomeriggio invece migliaia di comuni mortali si sono messi in coda, sfidando il caldo soffocante.