Quasi tristi come i fiori e l’erba di scarpata ferroviaria», in Autogrill Francesco Guccini dice una cosa molto poetica ma chissà se vera.

C’è una vegetazione brada che cresce su muretti a secco, ruderi, interstizi tra i sanpietrini, spaccature nell’asfalto, spiagge, sassose, lungo i binari; luoghi defilati che molti viventi normalmente rifuggono e capaci invece di suscitare in altri una subitanea , inspiegabile, sintonia o dejavù.

Eppure le piante che attecchiscono lì hanno una fibra e un’aria ribalda, persino soddisfatta di starsene esattamente dove sono arrivate. Le piante sono creature ben consce della loro collocazione nel mondo e questo a causa dell’impossibilità di spostarsi che le ha dotate di una sensibilità maggiore rispetto agli animali di percepire lo spazio attorno a sé: obiettivo ultimo ottimizzare le proprie strategie di sopravvivenza. Ferme nel luogo in cui prendono dimora ma nondimeno capaci di espandere la loro vita oltre il proprio areale geografico, sono viaggiatrici straordinarie sospinte dalla necessità di propagare la vita. Lo spiega Stefano Mancuso, botanico, docente dell’Università di Firenze e Direttore del Laboratorio di neurobiologia vegetale, e lo dimostrano i fiori delle massicciate ferroviarie e quelli che crescono sulle rupi o i moli.

Ad esempio il chritmun maritimum, salicornia, asparago o finocchio di mare, erba di San Pietro In Inghilterra o Samphire, pacasasso sul Conero anconetano (dove la raccolta libera è proibita), diffuso sugli scogli dello Ionio, citato da Shakespeare nel Re Lear («A metà strada cade colui che raccoglie l’erba di San Pietro, lavoro terribile») e da Melville in Moby Dick (Dondolarono sopra le onde, come tre ceste di finocchio di mare sopra gli scogli alti) le cui proprietà messe a punto per resistere in ambienti difficili, le sostanze bioattive di cui è ricco, lo rendono risorsa preziosa non solo agroalimentare ma anche per cosmesi e farmaceutica (ne parla già Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia); la preziosa alofita si mangia cruda nell’insalata in Grecia, conservata sottolio nelle Marche, ricercata come olio essenziale per le sue funzioni antiossidanti e antibatteriche. Nel chritmun è stata rilevata la presenza di specifici flavonoidi, gli stessi presenti nella buccia del limone, capaci tra le altre cose di migliorare la circolazione sanguigna e rilasciare grandi quantità di vitamina C: l’antiscorbuto apprezzato a bordo del Pequod come tra tutti i navigatori che nel passato hanno dovuto affrontare lunghi periodi senza frutta né verdura fresca.

I semi viaggiano infischiandosene di dazi, barriere, embarghi o lockdown, attraverso lo spazio e persino il tempo: dal sito archeologico israeliano di Masada, oggetto di duro assedio romano nel 72 dc, sono arrivati semi di dattero fatti idratare e germogliare nel 2005 dc (grazie al lavoro delle ricercatrici israeliane Sarah Sallon ed Elaine Solowey) come incredibile time capsule. Per fare un esempio più prossimo, le edicole votive ai crocevia dei viottoli dei nostri paesi regalano semi di varietà di fiori perduti.

Lo ha detto bene, come potrebbe essere altrimenti, Emily Dickinson: «Hai mai pensato che un fiore, una volta appassito e fatto rinvenire nell’acqua, possa diventare un fiore immortale… cioè che risorga?»

Mancuso descrive le mirabolanti peregrinazioni delle piante (nell’Incredibile viaggio delle piante ed. Laterza) e le fa sembrare una trama di Miyazaki: vita brulicante sotto le nostre ignare suole, semi miracolosi come quelli che potrebbe regalarci il vicino Totoro, spirito della foresta, in segno di riconoscenza. Traccia la costituzione della Nazione delle Piante, sempre edito da Laterza, un consorzio di esseri viventi dove non vince il più forte ma chi coopera e si incrocia con esiti favolosi: la simbiosi tra fungo e alga ha dato luogo, detto in estrema sintesi, al lichene, organismo che sopravvive in Antartide, nei deserti più secchi del pianeta e persino (per un po’) se esposto alle radiazioni cosmiche dello spazio profondo.

Ancora Mancuso racconta di «Uomini che – come lui – amano le piante»: non Apollo con la sua Dafne, ma Linneo, e anche Lynn Margulis perché tra gli Uomini ci sono anche le donne come nella famiglia Darwin, Federico Delpino, Rousseau autore tra l’altro di un testo divulgativo nato come corso di anatomia vegetale per corrispondenza a beneficio di un’amica di famiglia Lettere elementari sulla botanica in cui si parla anche di certi curiosi fiori con la mascherina. Questa famiglia si suddivide in due linee: una di fiori labbrati l’altra di fiori mascherati, in maschera o personate, poiché la parola latina persona significa maschera, un nome certamente molto adatto alla maggior parte di quelli che portano il nome di persone. Cosa quanto mai vera di questi tempi.

Tra gli amanti delle piante anche Leonardo Da Vinci, Johann Wolfgang von Goethe, ché scienza e umanesimo possono andare a braccetto e anche essere vicini di casa (è il caso di Ephraim Wales Bull, creatore del vitigno Concord, e Nathaniel Hawtorne). Specie se come fa Mancuso, si parte dall’assunto che le piante sono antichi progenitori anche della nostra vita, che hanno allestito il pianeta per accoglierci e potrebbero ora tirarci fuori in extremis dalla fossa che ci stiamo scavando da soli con buona lena, se solo avessimo la compiacenza di ascoltarle. E di piantarne, ovunque sia possibile farle vivere.