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Il lungo inchino di don Memè

Il lungo inchino di don MemèProcessione a Oppido Mamertina (Rc)

Oppido Mamertina Altri segnali prima della sosta della madonna davanti alla casa del boss. La Dda ha avviato un’indagine. Ma lo storico parroco di Rosarno aveva già deposto in tribunale difendendo i capoclan che papa Bergoglio ha invece voluto scomunicare

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 8 luglio 2014
Silvio MessinettiREGGIO CALABRIA

Martedì scorso, il giorno prima della processione della madonna ad Oppido Mamertina, c’era stata una trattativa, sia pur informale, tra il maresciallo Andrea Marino che comanda la stazione dei carabinieri e i parrocchiani che avevano organizzato la processione della Vara. La linea era stata definita con chiarezza: nessun gesto di ossequio e devozione sarà consentito, durante il tragitto non sarà permesso effettuare alcuna sosta.
Il patto è saltato, nonostante le rassicurazioni della vigilia. Ecco perché il colonnello Lorenzo Falferi, comandante provinciale a Reggio, adesso scandisce la posizione dell’Arma: «Non possiamo accettare una simile deferenza da parte dei cittadini nei confronti di una persona condannata all’ergastolo e poiché non siamo privati cittadini abbiamo fatto esclusivamente quello che era il nostro dovere, allontanarci e denunciare».
Già nella giornata di venerdì alla Dda reggina era giunta la segnalazione dei carabinieri di Oppido il cui comandante, con i suoi uomini, aveva abbandonato la processione quando si era accorto di ciò che stava accadendo, avviando i primi accertamenti. L’indagine punta ad accertare l’eventuale rapporto tra i portatori della statua della Madonna e il boss, don Peppe Mezzagatti, e se la sosta era stata programmata. Oppure decisa all’ultimo momento. Il procuratore Federico Cafiero de Raho ieri è stato molto duro: «Ritengo che sia un fatto gravissimo che dimostra come la `ndrangheta controlli il territorio. Persino una manifestazione religiosa è piegata in ossequio a un boss. È un fatto sintomatico della sudditanza di un territorio nei confronti della criminalità».
Già, il territorio. La piana di Gioia Tauro è terra di ‘ndrangheta come forse nessun altra. Il vescovo, monsignor Milito, ora assicura che vedrà di ricostruire l’accaduto e ci saranno «provvedimenti». Ma sa bene, il vescovo di Oppido, che in quella diocesi già altri e più gravi segnali si erano colti grazie all’operato di don Memè, storico parroco di Rosarno, colui che non aveva esitato a deporre in un tribunale della Repubblica in difesa di quei boss mafiosi che Bergoglio ha inteso, invece, scomunicare. Come Ciccio Pesce, «un mio amico» ebbe a definirlo davanti a giudici increduli. Tanto da indurre il presidente del Tribunale a chiedergli: «Mi faccia capire, don Ascone, Rosarno quindi è un’isola felice?».

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Quando il caso scoppiò, monsignor Milito fece visita a don Memè e gli diede solidarietà. Davanti ai giudici, nel luglio dello scorso anno, il prete si era accomodato per dire: «Penso che Rosarno sia stato messo in una cattiva luce, non so da chi, è stata chiusa la sede scout per mafia, e siamo stati… siamo passati per razzisti, per cattivi contro i negri, c’è stata una serie di cose che hanno buttato fango su Rosarno, sui rosarnesi, e sull’intera Piana e molti stanno pagando innocentemente penso».
Don Memè alla domanda del giudice non ha più risposto preferendo glissare. Ma che Rosarno sia “isola felice” per lui e per la chiesa che rappresenta lo dimostra la devozione della famiglia Pesce che si è fatta carico di climatizzare la chiesa, probabilmente l’unica “casa del Signore” dove si può pregare senza sudare, grazie ai condizionatori installati dagli “amici” della famiglia Pesce. È uomo di gratitudine e riconoscenza il parroco di Rosarno, tanto che dieci mesi dopo la sua deposizione in favore dei boss, torna a indignarsi per difendere i bravi ragazzi rosarnesi dal fango mediatico. Nel marzo scorso, infatti, Le Iene si occupano di Rosarno, dei Pesce, del porto di Gioia e della cocaina che vi transita. E il nostro si presta volentieri come teste a discarico: «Rosarno non è un paese mafioso. È tutto falso che il sindaco sia stato minacciato con una lettera arrivata dal carcere. Quello che mi tocca dire purtroppo è che quando ci sono sindaci di sinistra sono protetti dai giudici; quando ci sono sindaci di centrodestra non sono protetti dai giudici, anzi…».
Infine, come se non bastasse, ha attaccato Luigi Ciotti, fondatore di Libera che nella Piana è molto attiva e si occupa di far lavorare giovani disoccupati nei terreni sequestrati ai mafiosi: «Non è un parroco, lavoro non ne ha, ha voluto prendere questa bandiera della lotta alla mafia come lavoro. Per combattere la mafia basta essere preti, non guardie della polizia, questa è propaganda». E poi ci meravigliamo per un inchino.

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