Accadeva con i libri proibiti di Simone de Beauvoir in Memorie di una ragazza perbene: il film pulsa in modo geniale intorno a un ricordo d’infanzia. Sorpresa a quattro anni dal padre a nascondere i propri disegni di bambina – primi lampi di sessualità – fra le pagine di uno scrittore ebreo amato dai genitori. The book of Gabrielle è una “commedia filosofica”, come la definisce la regista inglese interprete e voce over Lisa Gornick che il 29 settembre sarà a presentarla al Florence Queer Festival (dirigono Bruno Casini e Roberta Vannucci), ma anche un graphic novel generato da quello che la protagonista divenuta adulta sta creando, uno show di disegno dal vivo e una web serie.

Memoria primaria dunque. Da lì si irradia, morbida e autoironica, stillante desiderio come il tratto nero della stilografica che oggi fluisce dalla mano di lei sul foglio bianco – tra corpi veri e “imperfetti” che affiorano e si cercano – una autobiografia sentimentale sessuale che la chiama inevitabilmente al rapporto con quello scrittore, narcisista e sessuomane, sorta di sabotante Super-Io, nonché al serrato confrontarsi con la rigidità di un aristotelico maschilismo creativo (lei ama l’arte non per forza obbediente a una “storia”), tra ombre e luci di una relazione con una donna più giovane e un empatico immedesimarsi in diversi abiti sessuali, maschili, etero o omo che siano … Onesto e vivificante avventurarsi oltre le secche di un certo cinema queer:

In uno dei dialoghi tra Gabrielle e l’editrice, il tuo personaggio chiede provocatoriamente: Il sesso non vende più?

Credevo di aver letto che parlare di sesso in realtà non fa vendere un film. Ora mi chiedo se l’ho solo immaginato. Comunque sia, ho pensato che sarebbe stato divertente se fosse stato vero. Ho grosse difficoltà col modo in cui il sesso viene rappresentato nel cinema: non appare come è realmente, di solito è visto come qualcosa di molto sbrigativo e troppo centrato sull’orgasmo.

Per andare in cerca di una cifra più onesta di racconto, quanto è stato essenziale, e quanto difficile, metterti in gioco in più vesti nel film?

Probabilmente qualunque forma di creatività è personale, sia che tu scelga una voce soggettiva o no. Alcuni creatori si proteggono nascondendosi. Io credo che questo sia un ritratto di me abbastanza esposto: mi sono lanciata e ho cercato di non giudicarmi. Anche perché, amando le espressioni che esprimono la vulnerabilità delle persone, le ho cercate. È un lavoro ininterrotto ricordarsi di essere vulnerabili.

I disegni di Gabrielle sono anche un modo per rivelarla a se stessa?

Sì. Li ho pensati come un sottotesto al personaggio e come una via per farle riattraversare la sua storia sessuale poi confluita nel libro. Se siamo onesti con noi stessi, possiamo imparare tanto dalla nostra biografia sessuale, non rintanandoci nel passato, ma aprendoci alla nostra complessità e alla pazienza …

Come hai lavorato con l’operatore per trasmettere l’estemporaneità del disegno?

In modo spontaneo. A un certo punto però, per essere sicuri che la penna e il pennello (usa anche l’acquarello, ndr), fossero all’interno dell’inquadratura, abbiamo dovuto coordinarci come in una coreografia. Poi al montaggio ho cercato i disegni che meglio esprimevano il flusso del film. Volevo far rivivere la gioia che si prova guardando la penna muoversi sulla carta, come durante i miei show di disegno dal vivo.

Il personaggio dello scrittore ha così tante valenze (da me riscontrate …), come un totem!

Nella mia testa ho dialogato con uomini come questo per tutta la vita. Uomini che scrivono i libri in cui ero solita immergermi da bambina. Fortemente maschili, eterosessuali, ingombranti, sebbene sotterraneamente in lotta con la loro vulnerabilità: nemmeno lontanamente mettono in discussione il fatto di essere adorati dalla moglie e che la loro opinione sia presa sul serio. Potere maschile, diritto maschile, sicurezza in sé degli uomini: tutte queste cose mi indignano e mi affascinano.

Come avete modellato il personaggio con Allan Corduner che lo interpreta?

Allan è stato brillante e generoso. Sebbene sia distante da lui nella vita reale, conosce questa tipologia di uomo. È stata una gioia esplorare insieme la mascolinità.

In una intervista affermi che è più facile che i produttori affidino un film che narra amori lesbici a un uomo anziché a una regista.

Sarà un pregiudizio inconscio? Accade quando, contro la volontà del pubblico, un produttore continua ad attribuire maggior peso a un regista. D’altro canto, un uomo dirà di saper fare quando non sa fare e una donna dirà di non saper fare quando invece sa. Ci vorrà tempo perché ci siano svolte significative in questo senso, specie nell’ambito delle arti liberali, per assurdo ancora conservatrici.

Nel film, come Orlando di Woolf, ti immedesimi in diversi modi di sentire la sessualità. È anche un modo per andare oltre le chiusure che appesantiscono perfino un certo “gender cinema”?

Amerei riuscirci. Il film cerca di esplorare l’uomo dentro di me. Credo che tutti possiamo ricercare la fluidità di genere in noi. Altrimenti è così fossilizzante. Cosa accadrebbe se invece volessimo costantemente giocare in modo da essere liberi di esprimere differenti parti di noi stessi senza dover prendere una decisione? Allora potremmo mantenere quella naturale duttilità che avevamo da bambini, prima di essere repressi dal contesto.