Centinaia di migliaia di libanesi poveri e i tanti altri che vivono poco sopra la linea della povertà rischiano di dover affrontare anni persino più duri di quelli passati. Il Libano chiederà assistenza tecnica al Fondo monetario internazionale (Fmi) per elaborare un piano di stabilizzazione per la sua crisi finanziaria ed economica. Ottenuta, due giorni fa, la fiducia, il nuovo governo guidato dal premier sunnita Hassan Diab, si prepara a mettere il paese nelle mani degli «esperti» dell’Fmi, ben noti per la politica dei tagli drastici alla spesa pubblica pur di far quadrare i conti. «Il Libano sta chiedendo consiglio al Fmi perché la ristrutturazione del debito (83miliardi di dollari, ndr) deve essere condotta in modo ordinato per evitare di danneggiare il sistema bancario del paese», ha spiegato una fonte governativa all’agenzia Reuters.

 

All’orizzonte ci sono riforme, ossia manovre lacrime e sangue, sollecitate anche dal Gruppo di sostegno internazionale (Isg) al Libano, di cui fa parte l’Italia. La crisi economia e finanziaria che rischia di strangolare il paese perciò la pagheranno i più deboli mentre si impoverisce la classe media. Le famiglie più in difficoltà vendono elettrodomestici essenziali, come forni e frigoriferi, pur di incassare qualche dollaro.

 

Non ha ottenuto i risultati sperati la lotta a corruzione, malgoverno, carovita e disoccupazione dilagante che dallo scorso ottobre migliaia di cittadini portano avanti con manifestazioni e presidi permanenti a Beirut e in altre città. Lo zoccolo duro della protesta comunque non intende fare passi all’indietro. Due giorni fa, mentre il Parlamento si accingeva a votare la fiducia al governo Diab, le forze di polizia hanno fatto uso di cannoni ad acqua per disperdere la folla che, al grido di «nessuna fiducia», lanciava sassi contro gli agenti schierati a protezione di deputati e ministri. I feriti negli scontri sono stati circa 300, tra i quali un parlamentare.  «Riconquisteremo la fiducia dei libanesi e metteremo in atto riforme serie con la massima onestà e trasparenza», ha assicurato Diab in Parlamento, annunciando la riduzione dei tassi di interesse a sostegno delle imprese e delle famiglie. Solo una parte dei libanesi è disposto a concedergli tempo e fiducia.

 

Intanto dall’alto, nell’evidente tentativo di placare la piazza, si batte di nuovo sul tema dei costi per il paese causati dalla presenza di un milione e mezzo di profughi siriani, fuggiti dalla guerra nel loro paese, che vivono ai margini delle città e in campi improvvisati. Un punto che mette d’accordo un buon numero di libanesi, convinti che i rifugiati – braccia a basso costo – stiano provocando disoccupazione e il calo degli stipendi nel settore provato. Il presidente Michel Aoun qualche giorno fa ha chiesto ancora una volta il rimpatrio in tempi stretti del maggior numero di profughi poiché, ha spiegato, gran parte delle regioni siriane sono state «pacificate».