Nel suo libro «Il complesso di Telemaco» Massimo Recalcati scrive che il nostro tempo non è sotto il segno di Edipo: l’evaporazione del suo rivale, il padre, lo condanna al silenzio. Privi di un nemico da combattere i giovani possono ritrovare il padre non più come autorità ideale bensì come «luogo di una possibile Legge giusta». Con un nuovo compagno di strada, Telemaco, i figli scrutano il mare in attesa non tanto del padre in sé quanto della sua testimonianza. Devono sentire il suo bisogno per costruire la sua eredità in autonomia. Il libro di Recalcati è intenso, stimolante e dentro le contraddizioni che attraversano la nostra epoca.

Sconta un limite di partenza: nessuna testimonianza può far pervenire qualcosa da un padre che è concepito separatamente dalla coppia. Il discorso sull’assenza del padre ce lo restituisce sempre assente (inafferrabile dentro e fuori di noi) se lo mettiamo a fuoco da solo, facendo della madre una figura laterale, eccentrica. Il baricentro dell’«Odissea» è il letto coniugale. Se il letto coniugale non regge, l’oggetto che l’uomo desidera resta la propria madre e la tela di Penelope si trasforma in tela di ragno che cattura il figlio. Se il letto coniugale regge, la tela diventa il velo che rende possibile il godimento della donna e dell’uomo perché fa dello spazio femminile del coinvolgimento un luogo intimo. Di giorno Penelope tesse il velo, creando la necessaria separazione tra lei e i figli che rifiutano di crescere (i Proci, eterni adolescenti). Di notte lo disfa, nell’attesa che apre il suo desiderio all’uomo che verrà.

Dal mare non arriva nulla per Telemaco senza l’attesa di Penelope. Telemaco, personaggio mitologico, non ha la profondità dell’Edipo freudiano che è un personaggio tragico. Freud, come Sofocle, sa che la relazione incestuosa con la madre, che fonda il desiderio erotico di donne e uomini, deve rientrare nei confini dello spazio onirico (la cui più efficace riproduzione nella vita del giorno è il teatro tragico). L’Edipo tragico non offre soluzioni pronte: consente di crearle, «sognarle», mantenendo vive e aperte alla vita le antinomie del desiderio, che nessuna Legge può appianare. Occorre vivere le contraddizioni del mondo a occhi insieme aperti e chiusi per non sbatterci sopra.
All’inizio della vita figli e figlie amano la madre e uccidono dentro di loro il padre, ignorandolo: non vogliono sapere nulla di questo rivale temibile. Successivamente devono chiamarlo alla vita perché senza il suo amore per la madre il loro legame con lei diventa insostenibile.

L’amore non sopporta il rivale, l’estraneo, ma in sua assenza si incastra in una familiarità soffocante. Questa contraddizione non si risolve mai, può solo irrigidirsi fino alla morte del desiderio. Vivere la contraddizione e godersene è il privilegio degli amanti, fedeli perché liberi di tradire, estranei nel loro primo incontro e conosciuti da sempre. Oggi il nostro lascito ai figli è un letto coniugale che scricchiola paurosamente e il padre da solo è impotente.