Sedare, normalizzare, rinviare. Lasciamo da parte l’Imu da rimodulare sulla prima casa dei «paperoni» e l’Iva da pagare a gennaio. Poi scartiamo i provvedimenti sul lavoro, da discutere con i sindacati la prossima settimana. Bisogna sedare i conflitti tra alcuni giganti che stanno al governo e si punzecchiano. Zanonato allo sviluppo che si fa fischiare dai commercianti perché non sa se il governo troverà 8 miliardi di euro per cancellare Imu e Iva e l’ultras Brunetta che dal Senato ribadisce l’unico concetto chiaro al governo Letta: se non si tolgono questi provvedimenti partoriti dal governo Monti su diretta imposizione della Troika «il governo non c’è più». Letta sceglie la strada del letargo, ma non rinuncia all’idea di «rilanciare l’Italia». Perché il ministro Saccomanni porta i conti, ed è una persona seria, dopo il vertice europeo sulla disoccupazione del 27-28 giugno preparerà un pacchetto completo di interventi e la potenza di fuoco delle larghe intese sarà al massimo.
Al momento in cui scriviamo, il primo provvedimento del governo nato il 28 aprile scorso è ancora in via di elaborazione nel consiglio dei ministri dopo quattro ore e mezza passate a rimuginare e sbianchettare 80 microprovvedimenti che hanno il sapore di una lenzuolata bersaniana. Nasce così il «decreto del fare», ispirato a d un bricolage che spazia dal bonus da 5 miliardi di euro per i macchinari delle imprese con l’apporto della Cassa Depositi e prestiti ai 100 milioni per i comuni per riparare le buche stradali. Nel mezzo ci sarebbe il taglio della tassa sulle imbarcazioni di lusso fino a 20 metri. Per il governo è una misura necessaria per rilanciare il mercato della nautica di diporto. Chi ha una barca fino a 14 metri non dovrebbe pagare tasse. Una misura singolare, ma che rientra nello spirito delle larghe intese: attenzione massima al ceto medio proprietario di una casa, ma anche una carezza a chi sta per acquistare una barca e vuole parcheggiarla in un’isola greca in estate. Un’altra «vittoria» del Pdl, così l’ha definita ieri il presidente dei senatori berlusconiani Renato Schifani, è il ridimensionamento dei poteri di Equitalia: la prima casa non sarà più pignorabile, mentre i debiti verranno rateizzati dopo otto rate non pagate.
Nella puntuale operazione di cosmesi compiuta dal volenteroso Letta ci sarebbe anche una decisione sorprendente: alla Tav Torino Lione vengono sottratti 524 milioni di euro, 773 milioni sono stati presi dai fondi per il terzo Valico, altri spiccioli dagli accordi Berlusconi-Gheddafi del 2009 per l’autostrada in Libia che non sarà mai realizzata. Insieme formeranno un fondo da 2 miliardi per finanziarie opere piccole e grandi (autostrade e ristrutturazioni degli edifici scolastici per 300 milioni). Praticamente, l’austerità sta costringendo l’icorcervo Pd-Pdl a rimandare i lavori della Tav, così com’è accaduto altrove. Per le stesse ragioni il Portogallo ha rinunciato del tutto. Difficile che il Pd, sponsor determinato dell’alta velocità, prenda la stessa decisione, ma avere stornato queste risorse è un chiaro segnale. Nella bozza su cui il governo ha discusso a lungo ieri c’è il taglio da 500 milioni all’anno per bollette elettriche per imprese e famiglie, 70 milioni per le piccole imprese all’estero. Il sistema di finanziamento delle università viene reso «più flessibile» e comprenderà i fondi per la ricerca. Viene sbloccato il turn-over e per il ministro dell’Istruzione Carrozza questo permetterà l’assunzione di 3 mila ricercatori in «tenure track». Il consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge sul contenimento del consumo del suolo e sul riuso di quello edificato. In serata stava ancora discutendo sul via libera al ripristino della mediazione civile obbligatoria che dovrebbe tagliare un milione di processi in cinque anni.
La tesi macroeconomica che regge il decreto del fare appare una scommessa che non ragiona su cifre, ma su previsioni. Proviamo a riassumerle: l’aumento dell’Iva sarà devastante per i consumi quindi sarà rinviata al primo gennaio 2014. Sarà il terzo rinvio che si aggiunge agli altri due voluti da Monti, anche lui terrorizzato dall’Iva come se fosse una bomba termonucleare. In un certo senso lo è, se l’Ocse prevede un’ulteriore perdita di 25 miliardi di Pil nei prossimi mesi, oltre che un aumento del debito al 132% per il 2013.
Rinviare l’aumento dell’Iva significa solo prolungare all’anno prossimo l’ecatombe dei consumi. Nel frattempo bisogna riempire la posta lasciata scoperta dal mancato aumento. Allora il viceministro dell’Economia Stefano Fassina, che si dice abbia in questi giorni rinsaldato un asse con Brunetta, prospetta un’entrata da 2,1 miliardi di euro dall’Iva pagata dalle imprese che avranno ricevuto 15 miliardi di debiti pregressi dallo Stato. Una complicata partita di giro di soldi promessi, e non ancora spesi, che serve a confondere la sorveglianza occhiuta della Troika ha un solo obiettivo: mantenere il deficit sotto il 3% anche per il 2014. L’iva pagata nel 2014 servirà a questo scopo, anche a costo di deprimere la domanda interna, quindi le residue speranze di risollevare la crescita, questa araba fenice. La lunga attesa della nascita del primo decreto del governo è la prova che questi calcoli potrebbero essere scritti sull’acqua. Ma per Letta non c’è alternativa. Nel bilaterale che si è tenuto sempre ieri a Roma con il presidente della Commissione Europea Barroso, il presidente del Consiglio Letta ha assicurato che nel 2014 l’Italia non supererà il tetto del 3% sul deficit, e continuerà con le riforme strutturali. Sperando che l’estate passi senza sussulti, nel frattempo si incassa il risultato del vertice europeo a quattro di Roma. La Germania avrebbe accolto l’ipotesi italiana di aumento del capitale della Banca europea degli investimenti (Bei) a 60 miliardi, con la possibilità da parte delle piccole imprese di emanare bond per fionanziarsi. Nel frattempo si pensa ad usare i fondi strutturali Ue per un miliardo da usare per le infrastrutture in Sicilia, Campania e Calabria. L’obiettivo è di creare 50 mila posti per i giovani del Sud.