Luigi Di Maio tiene botta, cerca di trasformare una parziale sconfitta in momento di ripartenza e utilizza la sua rinuncia al posto da vicepremier per strappare migliori condizioni per i suoi. La novità sta nel fatto che deve cedere qualche poltrona a personaggi che finora non avevano o quasi toccato palla. «I giochi veri cominciano adesso – dice un parlamentare M5S – Perché noi non smetteremo di pungolarlo. E perché Di Maio ha il compito di farsi interprete di una nuova linea politica, deve dimostrare di essere in grado di farlo. Non può illudersi che tutto torni come prima». E Luigi Gallo, presidente della commissione cultura alla camera, parla esplicitamente da giorni di una «fase 2» del Movimento 5 Stelle, che si sostanzia nel «metodo partecipativo» sui temi, che sono stati affrontati «con il lavoro assiduo dei parlamentari del M5S».

FATTO STA CHE IL «CAPO politico» è ancora in carica. Di Maio, ha ottenuto un ministero di prima fascia e piazzato bene i suoi, sfidando la richiesta di discontinuità di Nicola Zingaretti e l’accerchiamento interno che ha subito in alcuni momenti critici dei giorni scorsi. Dunque, Alfonso Bonafede è confermato alla giustizia. Riccardo Fraccaro, l’uomo della riforma taglia-parlamentari, diventa sottosegretario alla presidenza del consiglio. Toccherà a lui presidiare palazzo Chigi nei prossimi mesi di nomine pesanti e mantenere un canale di collegamento con Di Maio.

Poi ci sono le new entry: Nunzia Catalfo, la deputata che nelle scorsa legislatura era stata la prima firmataria del progetto di legge sul reddito di cittadinanza, va al ministero del lavoro. I delicati dossier delle aziende in crisi che precipitano sul ministero per lo sviluppo verranno affrontati da Stefano Patuanelli, che in queste settimane di mediazioni tra gli uomini vicini a Di Maio ha rappresentato l’ala dialogante col Pd. E poi Paola Pisano, che da assessora a Torino si trasferisce a Roma a fare la ministra dell’innovazione. Ecco che la giunta che dopo il cedimento sull’Alta velocità in Val di Susa era diventata un punto dolente viene messa al centro del rapporto con il Partito democratico, con tanto di festeggiamenti di Chiara Appendino. Sarà interessante vedere chi andrà al posto di Patuanelli come capogruppo al senato e come verranno suddivise le poltrone da sottosegretario per capire la nuova geografia pentastellata.

LA COMPAGINE grillina del nuovo governo Conte non poteva non risentire del cambiamento di baricentro decisionale, prima che di linea politica, che i gruppi parlamentari hanno provato a costruire quando si è sfaldato l’asse tra lo stesso Di Maio e Matteo Salvini. Si spiega in questo modo la nomina di Federico D’Incà, deputato al secondo mandato e questore alla camera. D’Incà ha fama di moderato e di tessitore, non si è sottratto alle critiche al gruppo di vertice anche se il suo stile pacato e paziente lo ha messo al centro delle manovre di deputati e senatori. Va ai rapporti col parlamento, ed è quasi una garanzia del fatto che gli eletti grillini avranno la loro interlocuzione con l’esecutivo e con Conte grazie al suo lavoro.

FABIANA DADONE, nuova ministra della pubblica amministrazione, viene considerata in quota Roberto Fico anche se la sua nomina ha creato qualche malumore tra alcuni suoi colleghi. Probabilmente all’ultimo secondo ha preso il posto di Nicola Morra, un altro grillino che fino ad oggi aveva sofferto per il fatto di non essere considerato fedelissimo di Luigi Di Maio. Morra ha sempre avuto un canale preferenziale diretto con Beppe Grillo e resta in prima fila alla presidenza della commissione Antimafia. Ma pensava fosse arrivato il suo momento, tanto che a pochi minuti dalla diffusione della lista dei ministri ancora dichiarava la propria disponibilità a «prendersi le proprie responsabilità».

È CONSIDERATO IN QUOTA Fico, ma in fondo è un battitore libero, anche Domenico Fioramonti, il ministro della pubblica istruzione che viene da sinistra e che nel primo governo Conte, da viceministro con delega all’università, si era spinto fino ad invitare i ricercatori precari a negare il voto al M5S per dare un segnale del fatto che la direzione intrapresa non era quella giusta.

IL M5S È DESTINATO a cambiare registro. Non tanto rispetto alle piazze, che mancano da anni, o a un presunto radicalismo delle origini. Più che altro stonano certi toni alla Alessandro Di Battista che miscelavano questione sociale a rivincite nazional-sovraniste, e che conducevano spesso i grillini a guardare verso la destra di Trump quando non direttamente a Putin: oggi sarebbero difficilmente compatibili con il nuovo corso. Se ne accorgerà per primo Di Maio, che dovrà gestire i rapporti con le cancellerie e che si muoverà dentro lo scenario che per primo ha anticipato la maggioranza col Pd: il M5S europeo che sostiene la nuova commissione Ue.