I «Il 29 marzo ci sarà il referendum sul taglio dei parlamentari. Non condivido quel referendum e penso sia stato un errore sottoscriverlo. Rispetto chi lo ha fatto. Abbiamo votato sì in Parlamento non perché convinti ma perché quel sì faceva parte di un patto di governo. Non sentivo, in epoca di populismi il bisogno di chiamare gli italiani a esprimersi su quello che rischia di diventare un referendum sul parlamentarismo». All’assemblea nazionale dem Nicola Zingaretti dedica un passaggio al referendum confermativo della legge sul taglio dei parlamentari. Il tono è imbarazzato, la premessa è «fino a qui sono stato zitto fino a ora ma adesso voglio essere chiaro». In realtà l’indicazione per il sì arriva solo tra le righe, come conseguenza di un accordo di governo subìto, visto che fino allo scorso settembre per tre volte il Pd aveva votato no alla riforma. Insomma, il Pd si avvia a tenere sullo sfondo il voto del 29 marzo. Anche per evitare spaccature: alcuni dirigenti nazionali e molti amministratori hanno già dichiarato di votare no. E due giorni fa è nato il comitato «Democratici per il no»: fra i promotori Tommaso Nannicini e il sindaco di Bergamo Giorgio Gori.

Alla direzione dello scorso 7 febbraio i vertici del partito (fra gli altri, Franceschini, Orlando, Marcucci e Delrio) avevano presentato un ordine del giorno sulle riforme che dava indicazione per il sì Ma alla fine era stato rimandato all’assemblea di ieri, grazie anche all’intervento del capodelegazione a Bruxelles Brando Benifei (che ha già dichiarato il suo no). Ieri l’ordine del giorno è stato riproposto e approvato. Ma senza il sì al taglio dei parlamentari.