Giuda, il traditore, è William O’Neal, un ladro d’auto afroamericano, di Chicago, che nel 1968 diventa informatore dell’Fbi per evitare una condanna. Il Messia è nero, è il giovane e carismatico presidente della sezione di Chicago del Partito delle Pantere Nere: Fred Hampton.
Le loro storie si incrociano quando il primo inizia a operare come infiltrato, fornendo le informazioni che porteranno all’uccisione del leader del Black Panther Party, Hampton, appunto. Le ritroviamo poi insieme nel 1989, quando la Pbs produce un documentario sul Movimento per i Diritti Civili intitolato Eyes on the Prize II. L’intervista a William O’Neal presente in quei fotogrammi rimarrà l’unica testimonianza sul suo ruolo di infiltrato all’interno del Partito. E ritornano oggi in Judas and the Black Messiah, il nuovo film del regista Shaka King prodotto dalla Warner, con Daniel Kaluuya nei panni di O’ Neal e un magistrale LaKeith Stanfield in quelli di Hampton. La scelta di utilizzare il termine «Messia Nero» non intende in alcun modo riflettere l’iperbole rivoluzionaria di Hampton, quanto piuttosto la paranoia psicotica di J. Edgar Hoover (interpretato da Martin Sheen), che teme l’emergere di un leader capace di «unificare e elettrizzare il movimento militante nazionalista nero». Seguendo le linee guida dei programmi Cointelpro, i federali sorvegliarono Martin Luther King, Malcolm X ma diressero la maggior parte delle azioni contro le Pantere nere, definite «la più grande minaccia per la sicurezza interna del paese».

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REGOLE DA CAMBIARE
Fondato a Oakland nell’ottobre 1966, il partito delle Pantere Nere rappresentava l’avanguardia politica di un movimento rivoluzionario che intendeva cambiare le regole della protesta nera. Vestiti con uniformi, baschi e giacche di pelle nera, armati e con un atteggiamento di sfida aperta all’establishment, le Pantere catturarono rapidamente l’immaginario popolare e i titoli dei maggiori media, diventando il simbolo dell’orgoglio nero e delle paure della classe media bianca.
Nel film troviamo ben rappresentate alcune delle operazioni di controspionaggio (Cointelpro è l’acronimo di counterintellingence program) del tutto illegali, quando non esplicitamente criminali, che prevedevano azioni di sorveglianza, infiltrazione, discredito e neutralizzazione del dissenso politico negli Stati Uniti. Nei panni della Pantera Nera Fred Hampton, Daniel Kaluuya incarna e esorcizza sia il mostro hooveriano, sia il martire del Movimento. Il finale infatti è tristemente noto: all’età di soli 21 anni, Hampton viene ucciso durante un raid congiunto dell’Fbi e del Dipartimento di polizia, con l’intento di assestare un duro colpo al Bpp. Quel raid fu organizzato proprio sulla base delle informazioni fornite all’Fbi da O’Neal.
La storia di Hampton è la storia di un giovane straordinario: oratore dotato, attivista instancabile e abile stratega politico; dall’organizzazione di scioperi e proteste al Programma di colazioni gratuite per bambini passando per la creazione di coalizione multirazziale, Rainbow Coalition, che includeva sia gruppi militanti come gli Young Lords, Young Patriots, SDS e Brown Berets, sia le gang cittadine, Blackstone Rangers e Black Disciples. Trovando un terreno di lotta comune, questi gruppi si unirono, in una delle città più segregate d’America, per affrontare questioni come la brutalità della polizia, la povertà endemica e gli alloggi scadenti.

LA TRAMA
La doppiezza di O’Neal è il motore che guida la trama del film. L a sua adesione alla sezione di Chicago è coerente con le linee guida dell’Fbi: mirare a inserire informatori in gruppi radicali sin dalla loro nascita, in modo che arrivassero ad assumere posizioni chiave. Così fu per O’Neal, divenuto rapidamente responsabile della sicurezza. Hampton attirò su di sé l’attenzione del Bureau in un memo datato 9 novembre 1969, in cui si segnalava che il presidente della sezione di Chicago avrebbe rimpiazzato David Hilliard, come Chief of Staff nel Comitato centrale del partito a Oakland. Nel caso Hilliard fosse finito in prigione, Hampton si sarebbe trasferito in California per diventare uno dei leader nazionali del partito; Hoover e l’Fbi temevano proprio che quel giovane si sarebbe trasformato nel nuovo Messia Nero.
Eyes on the Prize debutta il 15 gennaio 1990. Quella stessa sera William O’Neal si uccide, così ricordano i titoli di coda alla ricerca di una connessione con la verità storica. Non è un caso, che la sua affermazione forse più celebre, «Puoi uccidere un rivoluzionario ma non puoi uccidere una rivoluzione», sia stata usata per promuovere il film e colpire l’immaginario di migliaia di giovani afroamericani.
L’impatto di un film sul pubblico non termina necessariamente con i titoli di coda, ecco perché negli ultimi anni registi e musicisti neri hanno sfruttato al massimo gli album «inspired by» (ispirati da un film), andando oltre la storia raccontata sullo schermo. Succede anche con Judas and the Black Messiah che oltre alla colonna sonora di Mark Isham e Craig Harris presenta un disco d’accompagnamento «ispirato» dal film in cui figura un impressionante elenco di star del rap e del rhythm’n’blues: H.E.R., Nas, Rakim, Jay-Z, Black Thought, Rapsody e molti altri. Alcune canzoni, 22 pezzi, in tutto, offrono un rimando diretto al film con liriche strettamente correlate alla storia. Cointelpro/Dec 4, la traccia di apertura, vede Fred Hampton Jr. raccontare i dettagli sulla notte del raid e sulle operazioni Cointelpro che uccisero il padre. Fight for You di H.E.R. è una traccia soul, rétro, intrisa del sound e dell’orgoglio etnico di Marvin Gaye. In Somethin ‘Ain’t Right, Masego rappa di corruzione poliziesca su accordi di chitarra blues mentre Rapsody afferma: «Cointelpro ci ha preso di mira/Ma non ci arrenderemo finché non saremo tutti liberi».

RIFLESSIONI
E ancora Last Man Standing di Polo G che crea un legame diretto tre l’esperienza delle Pantere Nere e le proteste contro il razzismo sistemico e le rivendicazioni di Black Lives Matter. Welcome to America di Black Thought è un veemente promemoria che narra in rima di secoli di sfruttamento e discriminazione, esperienze queste in qualche modo ravvisabili ancor oggi, «In America, dove è sempre stagione (di caccia, ndr) aperta sui neri».
Purtroppo, ci sono anche pezzi che evidenziano tutta la distanza tra la politica radicale e ciò che passa per «politico» nel rap contemporaneo. Questo tratto risulta esplicito nelle tracce di due artisti come Jay-Z e Nas. Sebbene entrambi omaggino Hampton nelle loro liriche, quelle rime celebrano idee talmente antitetiche rispetto a quelle delle Pantere da apparire quasi offensive. Sono canzoni contrassegnate da spacconeria ed eccessi, atteggiamenti che avrebbero disgustato Hampton che, in vita, aveva criticato aspramente l’idea di «combattere il capitalismo con il capitalismo nero».
Judas and the Black Messiah – sia il film, sia l’album «inspired by» – hanno il merito indiscusso di portare all’attenzione del grande pubblico la storia delle operazioni clandestine Cointelpro, di raccontare la vicenda di Hampton e le rivendicazioni delle Pantere nere, così come quello di dare ulteriore impulso al dibattito sul confronto tra neri e bianchi oggi, accendendo l’immaginario e la creatività di migliaia di giovani. Perché come rappa Rakim in Black Messiah, «Puoi uccidere una pantera nera, ma la pantera vive ancora».Sorge però anche una riflessione critica: questi prodotti (perché di questo stiamo parlando) sembrano anche porsi come l’ennesimo tentativo di cooptare subculture o movimenti radicali per un profitto, di raccontare idee e storie «non allineate», di confezionare e vendere i sogni di una rivoluzione, in questo caso la rivoluzione nera in America.