Non si placano le proteste in Kenya dopo l’attacco del gruppo al qaedista somalo degli al-Shabab al Garissa University College di Garissa (circa 150 le vittime e più di 80 i feriti). E l’aviazione kenyana ieri ha reso noto di aver bombardato le basi dell’organizzazione jihadista nella regione di Gedo dando seguito alle dichiarazioni del presidente Uhuru Kenyatta di voler rispondere al massacro degli studenti «nel modo più severo possibile». In un discorso televisivo alla nazione Kenyatta ha promesso che la sua amministrazione avrebbe «fatto di tutto per difendere il nostro modo di vita» e ha esortato la collaborazione della comunità musulmana del Paese per contrastare gli elementi più radicali. Ma a rendere più difficile la situazione sarebbe il fatto che «i pianificatori e i finanziatori di questa brutalità sono profondamente radicati nelle nostre comunità».

Tra le proteste delle agenzie umanitarie che assistono i rifugiati , i governatori e i parlamentari del nord-est del Kenya hanno chiesto inoltre la chiusura del campo profughi di Dadaab – che ospita circa 500 mila rifugiati somali – perché ritenuto centro di formazione e coordinamento del gruppo jihadista degli al-Shabab.

A mettere in discussione le dichiarazioni del governo sarebbero però le parole di Sheikh Abdiasis Abu Musab, portavoce delle operazioni militari degli al-Shabab, secondo cui nessuna delle basi militari sarebbero stata danneggiata nel raid di domenica, avendo i caccia colpito invece solo terreni agricoli.

A questo si aggiunga che secondo le prime ricostruzioni, uno dei quattro uomini armati coinvolti nell’attacco al campus di Garissa sarebbe Abdirahim Abdullahi, figlio di un funzionario governativo della contea di Mandera, al confine con Gedo.

Intanto da parte dell’opposizione è giunta la proposta di uno dei leader, Raila Odinga, primo ministro all’epoca in cui il Kenya ha inviato le sue truppe in Somalia nel 2011 ufficialmente per combattere gli al Shabaab, di ritirarle. Proposta a cui ha risposto il portavoce di Kenyatta, Manoa Esipisu, che ha ribadito come il governo non abbia nessuna intenzione di richiamare i suoi soldati attualmente impegnati in Somalia: «Quando siamo stati attaccati da al Qaeda, nel 1998, non eravamo in Somalia. Così l’idea che lasciare la Somalia diminuirebbe la nostra vulnerabilità agli attacchi è una totale assurdità».