Uno dei primi episodi della serie inglese Black Mirror vede un giovane nero che, all’interno di un collegio postmoderno, segue uno stile morigerato per mantenere agile e scattante il suo corpo, accumulando così punti fondamentali per essere chiamato in una trasmissione globale di talent scouts dove mostrare il suo talento e sperare di farsi produrre uno show che lo strappi dalla vita incolore e scialba che conduce. In un regime di servitù volontaria, si invaghisce però di una aspirante cantante e le regala i punti accumulati. La giovane donna sarà umiliata durante la sua performance: più che uno show canoro le viene infatti proposta una carriera di attrice porno che sceglierà per sfuggire a un ordinario futuro. Il novello innamorato vuole vendicarla, così, dopo aver preso in ostaggio un conduttore di un reality, urlerà in mondovisione la sua denuncia contro un sistema che distrugge ogni parvenza di dignità umana. Diventerà in seguito il protagonista di una trasmissione tutta sua da dove lancerà strali contro lo status quo, guadagnando montagne di soldi. Nella società dello spettacolo e della connessione h24, una chiave di lettura ci viene fornita da questo episodio di Black Mirror, per ricordare che la critica più radicale diventa merce. I sovversivi sono cioè parte integrante dello show business.

PRESENTATO come il critico più intransigente e irriverente della società del capitale, neppure Slavoj Žižek è però estraneo al rischio di contribuire alla mercificazione della critica culturale. Di ciò è consapevole. Il gusto del paradosso lo porta ad esporre pensieri «fuori linea» rispetto l’ideologia dominante ma anche rispetto l’ortodossia marxista alla quale ha spesso dichiarato la sua fedeltà teorica. Ha usato l’ironia acida del bastian contrario. Non ha infatti avuto nessun timore a manifestare una parziale condivisione verso le posizioni di Donald Trump rispetto il cosmopolitismo liberale di Hillary Clinton, esponente di primo piano verso cui non nutre grande simpatia, come è emerso ieri durante in un incontro di Žižek con la stampa all’interno della kermesse romana Libri Come , durante il quale ha invece dichiarato la sua ammirazione per Bill Clinton per la sua robusta formazione letteraria, che lo porta talvolta a recitare interi brani dei romanzi di William Faulkner o a discettare sul realismo magico di Gabriel Garcia Marquez. Poco importa se è lo stesso Bill Clinton stigmatizzato in passato da Žižek come un presidente delle grandi corporation.
Il filosofo non è tuttavia un uomo della coerenza teorica. Ascoltarlo significa infatti affrontare un torrente di parole; l’appuntamento di ieri ha spaziato dall’analisi dalle personalità della giovane Greta Thunberg – «mi piace perché usa i dati ufficiali sul cambiamento climatico per mettere a nudo l’irresponsabilità e la pericolosità del modello di sviluppo dominante» – alla strage neozelandese, ritenuta conseguenza di una islamofobia dilagante in Occidente.

L’uso incessante dei paradossi serve a Žižek per mettere alla berlina l’osceno esercizio pedagogico nell’esporre le sue tesi che contraddistingue l’ideologia dominante. I paradossi lasciano tuttavia il campo a uno stile piano nell’esporre le sue posizioni in volume; aderire all’immagine dell’intellettuale dissidente non significa rinunciare a costruire egemonia culturale. Esempio di questo stile comunicativo «adulto» è Come un ladro in pieno giorno (Ponte alle Grazie, pp. 296, euro 20, traduzione di Valentina Paradisi) pubblicato proprio in concomitanza della rassegna Libri come.

DA ASSIDUO frequentatore dei media Žižek destruttura i manufatti della cultura di massa per mettere a nudo le contraddizioni e le aporie dell’ideologia dominante. Così si possono dunque sottoscrivere le pagine del volume nelle quali il populismo è considerato la risposta folkloristica al dispotismo delle èlite e alle oscene disuguaglianze sociali che il capitalismo globale ha prodotto, ma per amore di polemica verso il cosmopolitismo liberale non vede il fatto che il populismo è agito anche come una forma della politica proprio di quelle componenti delle élite tesa a mettere ordine e a dare maggiore incisività all’azione degli stati nazionali nella costruzione della società dell’individuo proprietario. Nella sua stigmatizzazione del populismo, non vede cioè che le parole d’ordine populiste sono parte integrante di una riformulazione del Politico incardinato nello stato-nazione in quanto soggetto politico garante a livello locale di un ordine politico-sociale che ruota attorno all’individuo proprietario e al libero mercato. Elemento, questo, non estraneo neppure ai cosiddetti populisti di sinistra laddove si propongono di ricostruire la legittimità dello Stato con quel misto di nostalgia e impoliticità di chi preferisce guardare al passato invece al «che fare» del presente.

IL LIBRO DI ŽIŽEK ha pagine molte belle che evocano il passaggio della «lettera ai Tessalonicesi» di San Paolo per indicare come il superamento del capitalismo avverrà non di notte, come scriveva Paolo di Tarso nel prospettare l’arrivo in terra del Signore, ma in pieno giorno; oppure quando analizza film di successo – in questo libro è Blade Runner 2049 – per segnalare gli smottamenti, i nuovi equilibri tra tecnica e cultura, tra umano e macchinico.
Il nucleo centrale del volume sta nel tentativo di destrutturare l’ideologia dominante della libertà. Per Žižek la libertà propagandata dal capitalismo globale serve a legittimare regimi illiberali. La libertà postulata dall’ideologia dominante significa solo libertà di scelta tra merci differenti, poco importa se tangibili o immateriali come sono le opinioni e gli stili di vita. Inoltre, il mantra sulla libertà personale si fonde con «la logica della vittima», come testimonia la politica dei risarcimenti imperante in Occidente o con quelle politiche delle identità dove tutto è concesso e permesso perché la proliferazione degli stili di vita è sempre all’interno di un campo che vede come gatekeeper i funzionari dell’ordine costituito (giornalisti, intellettuali, blogger, opinion makers, influencers). In altri termini, c’è libertà di scelta ma solo all’interno di una logica eterodiretta dal potere. A queste moltiplicazioni delle differenze, Žižek contrappone un generico e a tratti oscuro nuovo universalismo, che ha una sua esemplificazione nel richiamo ai diritti naturali dell’uomo.

CONVINCENTE è invece la parte del saggio dove Žižek scrive dell’esistenza di un «sistema cognitivo-militare» nato dalla cooperazione tra imprese e stati nazionali nel definire pervasivi sistemi di controllo sociale. Il «capitalismo delle piattaforme» o il «capitalismo della sorveglianza» non sono espressioni che lo riguardano. Non è neppure interessato al fatto che dietro quelle espressioni ci sia la dimensione estrattiva dei rapporti sociali di produzione una volta che anche la comunicazione, gli affetti sono diventati tanto merci che mezzi di produzione. Žižek non si spinge su questo terreno, preferisce attestarsi alla constatazione che Julian Assange è da considerare come un prototipo di una nuova figura militante, quello che con disincanto e spregiudicatezza si appropria del sapere necessario per svelare il dominio delle corporation e degli stati nazionali – in una relazione appunto di cooperazione e concorrenza per appropriarsi dei dati personali – sulla società.
Ci sono altre figure che Žižek giudica positivamente. Jeremy Corbin e Bernie Sanders sono considerati come i politici di sinistra che hanno la capacità di ribaltare l’ordine del discorso dominante, a destra come a sinistra, per la loro scelta di partire dagli esclusi dai salotti buoni della discussione pubblica e dallo sviluppo economico e sociale. Esclusi sono gli espulsi dalla produzione, così come esclusi sono i precari. Qui però la fa da padrone il gusto del paradosso, suona fastidioso come una nota stonata quando liquida i migranti come uomini e donne che aspirano solo a integrarsi nelle società occidentali, occultando così il fatto che la fuga dal regno della necessità è anche affermazione di libertà. La sottolineatura sulla centralità degli esclusi in assenza di una critica dell’economia politica che li produce fa correre il rischio – per chi la fa propria – di attendere inutilmente la grande trasformazione auspicata da Žižek. Che più che un ladro diventa quel Godot che ha annunciato il suo arrivo per poi non presentarsi mai.