Se si tralasciano alcuni elementi residuali di impostazione ottocentesca, oggi non c’è alcun pensatore politico e nessun movimento che teorizzi e proponga la rivoluzione intesa come sovvertimento (anche violento) della società, così come era stata pensata da Marx e – senza dittatura del proletariato – da Bakunin.

VANNO DI MODA pensieri che sottopongono a dura critica qualsiasi atteggiamento che sposta la felicità umana in un futuro da raggiungere con il conflitto; ed è questa una tendenza che dà da pensare. Intorno al tema, prova a riflettere Sabina Morandi nel suo romanzo In caso di pioggia la rivoluzione si terrà nella hall (Stampa Alternativa, pp. 540, euro 22). Giornalista scientifica, si è occupata di biotecnologie e ambiente in: C’è un problema con l’Eni e Il gene nel piatto; ha affrontato anche i temi altermondialisti con In movimento. Da Seattle a Firenze; e ha scritto i romanzi: Quasi come voi, sui limiti etici della scienza; Petrolio in paradiso, scaturito dagli incontri con le comunità indigene; e Il pozzo dei desideri, storia d’amore che ha come scenario la crisi ambientale. Citiamo quasi tutti i suoi libri perché serve alla comprensione della scrittura e delle riflessioni della sua nuova prova letteraria. E infatti questo è un romanzo politico, dove si incrociano tre punti di vista diversi sul mondo e sui suoi possibili cambiamenti.

TRE VITE s’incontrano e si scontrano, fra desideri, amori e speranze: quelle di Martin, mercenario ed esperto di sovvertimenti sociali pilotati come fossero campagne di marketing; di Ernesto, giornalista dagli ideali rivoluzionari, e di Aleksandra, figlia di un leader politico che viene proiettata al centro della scena militante e mediatica. La scrittura è avvincente e angosciata, un cambiare continuo di punto di vista; focalizzando la narrazione da un personaggio all’altro, rimanda alla consapevolezza che non ci sono risposte facili, perché è impossibile nella società dominata dai media e dai social network definire i confini di realtà, farsa e finzione. Si crea così una preoccupante distopia contemporanea dove complotto e complottismo sono sempre in agguato. «Non dobbiamo scrivere un saggio, dobbiamo vendere una rivoluzione», dice Martin al suo socio, vendere la rivoluzione come un prodotto qualsiasi in una società in cui – come cantano Giorgio Canali e i Rossofuoco: «telecamere agli angoli di questa città faranno di voi delle celebrità / lì nella regia per la pubblicità al rientro in onda un primo piano dello sponsor».

SABINA MORANDI sembra dire che la società dello spettacolo ha davanti a sé una serie di accadimenti politici facilmente catturabili nelle forme dello show mediatico e il romanzo – al di là dell’epilogo fiabesco che si ricollega all’incipit «C’era una volta…» – regala spunti di riflessione per un possibile movimento a-venire. Benjamin racconta come nel luglio 1830 «in più punti di Parigi, indipendentemente e contemporaneamente» i rivoltosi sparassero contro gli orologi, simbolo del tempo scandito dal potere.

PER UNA PRASSI più efficace forse oggi sarebbe necessario sottrarsi culturalmente non solo dal tempo ma anche dagli spazi (reali e virtuali) delle forme di dominio. «Non è possibile immaginare la libertà senza libertà di immaginazione», scriveva Franco Berardi Bifo già a metà anni ’80.