Lasciamo perdere il sistema di valori alla base della “mission” aziendale – sono tutti buoni quando si tratta di far bella figura su una brochure – anche se in questo caso vengono sottolineati i “principi di trasparenza, lealtà e correttezza nelle dinamiche del mercato”. La sostanza è un’altra: la cooperativa “bianca” La Cascina, facente parte del Gruppo La Cascina, un colosso che si occupa di ristorazione e “global service” vicino a Comunione e Liberazione e che dichiara 364 milioni di ricavi all’anno, da qualche tempo implementa il suo business anche con la gestione delle strutture destinate ad accogliere i migranti. Questo nuovo mercato si è aperto nel 2008, precisamente il 21 luglio, quando il governo Berlusconi dichiarò “lo stato di emergenza nazionale sull’immigrazione” e autorizzò l’apertura di edifici messi a disposizione da comuni, onlus e associazioni religiose; per abbreviare i tempi di concessione il governo diede il potere ad alcuni funzionari del Viminale di aggiudicare la gestione di questi nuovi centri saltando l’iter della gara pubblica d’appalto. Bingo.

“Con gli immigrati si fanno più soldi che con la droga”, non c’è sintesi migliore dell’ormai celebre intercettazione dell’ex rappresentante delle coop, il ras Salvatore Buzzi, arrestato nella prima tranche dell’inchiesta Mafia Capitale. Da quel momento, per diverse cooperative attive nel “sociale” (rosse e bianche) la gestione della cosiddetta “emergenza immigrazione” diventa un affare da milioni di euro. A volte anche sporco. Questo è il “core business” scoperchiato ieri nel secondo round dell’inchiesta che ha nuovamente sconvolto Roma con 44 arresti per associazione di tipo mafioso, corruzione, turbativa d’asta, false fatturazioni, il tutto con l’aggravante delle modalità mafiose. Tra gli arrestati ci sono anche quattro manager della cooperativa La Cascina. Sono Domenico Cammissa, Salvatore Menolascina, Carmelo Parabita e Francesco Ferrara. Per i primi tre sono scattati gli arresti domiciliari, Francesco Ferrara invece è finito in carcere.

Le accuse per i manager vicini a Cl sono pesanti e per certi versi nemmeno nuove (già nel 2009 la stessa cooperativa fu inquisita per le stesse ragioni anche dalla procura di Potenza). I quattro manager, secondo il gip di Roma Flavia Costantini, sarebbero “partecipi degli accordi corruttivi con Luca Odevaine” (già in carcere per Mafia Capitale) e dal 2011 al 2014 avrebbero commesso “plurimi episodi di corruzione e turbativa d’asta”, manifestando una “spiccata attitudine a delinquere” per lucrare sugli appalti. Secondo gli inquirenti, Luca Odevaine, considerato grande esperto di immigrazione e con un ruolo di spicco nel Coordinamento nazionale sull’accoglienza profughi del ministero dell’Interno, avrebbe ricevuto dai manager “la promessa di una retribuzione di 10 mila euro mensili, aumentata a euro 20 mila mensili dopo l’aggiudicazione del bando di gara del 7 aprile 2014, per la vendita della sua funzione e per il compimento di atti contrari ai doveri d’imparzialità della pubblica amministrazione”.

In sostanza il funzionario, che manovrava direttamente dalle stanze del Viminale, era a libro paga della cooperativa La Cascina per far sì che le sue associate intercettassero i flussi di migranti nelle proprie strutture. Di più: secondo l’accusa, avrebbe anche fatto pressioni per far aprire centri per immigrati in località gradite alla stessa cooperativa. Ci sono intercettazioni in cui chiariva che avrebbe fatto parte della commissione aggiudicatrice della gara per la gestione del C.a.r.a. di Mineo e che “il bando era blindato e che La Cascina avrebbe vinto sicuramente”. La Cascina, tra altre mille cose, gestisce anche il Centro per rifugiati di Mineo, il più grande d’Europa (dà lavoro a quasi mille persone e costa allo stato circa 100 milioni di euro ogni tre anni). E ci sono altre telefonate in cui Odevaine ammette, parlando esplicitamente con il suo commercialista, che grazie al suo interessamento le strutture di quella cooperativa vengono occupate dai migranti, “e io insomma gli faccio avere parecchio lavoro”. Naturalmente, c’è un tariffario: “Altre cose in giro per l’Italia, possiamo pure quantificare, guarda… se me dai… cento persone facciamo un euro a persona… non lo so, per dire. E basta, uno ragiona così, dice vabbé… ti metto 200 persone a Roma, 200 a Messina… 50 là e le quantifichiamo poi”. E’ un dettaglio che non c’entra con l’inchiesta, ma è utile ricordare che a fare da sfondo a questi affari ci sono migliaia di cadaveri in mare e decine di migliaia di profughi che fuggono da fame e guerre.

Per i manager de La Cascina sono briciole 120 o 124 mila euro all’anno di “investimento” per garantirsi certi servigi da un funzionario. La corazzata delle cooperative vicine a Cl (è in ottimi rapporti anche con Gianni Letta) di fatto è una potentissima holding di cooperative che gestisce ospedali, mense scolastiche e universitarie, catene di alberghi a quattro stelle, ristoranti, pasticcerie, torrefazioni, imprese di pulizie e sanificazione. Non solo. Dal 2012, “grazie all’aggregazione col Consorzio Casa della Solidarietà e le sue cooperative sociali”, ha ampliato il suo raggio d’azione anche nel settore “dell’emergenza sociale, dell’assistenza ai minori, dell’immigrazione e dei servizi alla persona in genere”. La “testa” della Cooperativa La Cascina è a Roma, ma le sue società lavorano in tutta Italia con più di 1000 impianti tra produzione e distribuzione. Gli indicatori numerici relativi al 2014/2015 dicono di ricavi totali per 364 milioni di euro (205 per servizi di ristorazione, 60 per servizi alle imprese e alla collettività e 99 per servizi socio assistenziali). Negli ultimi dieci anni il gruppo è cresciuto fino a triplicare i ricavi: erano 127 milioni nel 2004, 190 nel 2006 e 240 nel 2013. La holding dà lavoro complessivamente a più di 8 mila persone. Ogni anno distribuisce 37 milioni di pasti e ogni giorno “assiste” circa 12 mila persone. Tra queste anche molti di quei migranti che sono riusciti a non affogare nel mar Mediterraneo.