«È come il domino: venuta già la prima tessera, viene giù tutto il resto». Davide Scorzelli lavora nel reparto di terapia intensiva generale dell’ospedale San Gerardo di Monza, «l’ultima terapia intensiva non-Covid rimasta attiva. Io lavoro lì». Negli ultimi 30 giorni ha visto riempirsi i letti di rianimazione degli altri reparti. Il San Gerardo è il principale ospedale della provincia di Monza e Brianza, epicentro di questa seconda ondata insieme alle province di Varese e Milano. Con Milano condivide la tratta dei pendolari che fino a pochi giorni fa affollavano la metropoli di giorno per poi tornare in provincia. Con loro viaggiava anche il virus.

Il direttore generale dell’Asst di Monza Mario Alparone ieri ha chiesto aiuto agli altri ospedali della Lombardia. «In questo momento Codogno siamo noi e abbiamo bisogno della stessa attenzione che abbiamo dato noi in fase uno agli altri». Il San Gerardo è al limite e soffrono anche tutti gli ospedali minori della zona. «Abbiamo assunto 110 nuovi operatori, di cui 40 medici e il resto infermieri, ma avendo 340 operatori positivi a casa, parliamo di una goccia in confronto a un esercito fermo» ha aggiunto Alparone. Il direttore generale ha chiesto alla giunta Fontana l’intervento dell’Esercito e della Protezione Civile. Anche il sindaco di Monza Dario Allevi, di centro destra, chiede maggiore collaborazione regionale: «Adesso si sono capovolti i rapporti, i focolai sono a Monza, Varese, Milano e quindi siamo noi ad avere bisogno di Bergamo, Brescia e Cremona. La preoccupazione è altissima, con file interminabili di ambulanze e problemi anche per tutti gli altri pazienti che si stavano curando al San Gerardo per altre patologie».

Anche ieri Monza e Brianza hanno registrato 874 nuovi positivi. «Sono caduti i veli che tenevano nascosta la situazione» dice ancora Davide Scorzelli, che oltre a fare l’infermiere nella rianimazione non-Covid del San Gerardo è anche rappresentante sindacale per l’Usb. «L’attività è mostruosamente aumentata, di conseguenza anche la confusione e la paura di fare errori» racconta. «Ogni giorno si apre un reparto Covid, ogni giorno cambia qualcosa nel nostro lavoro, il personale viene spostato e si ritrova a fare cose per cui non ha una specifica preparazione. I turni si sono allungati, ci chiedono straordinari, noi lo facciamo ma non so per quanto tempo ancora potremo reggere questi ritmi».

Come si fa a lavorare con 340 colleghi positivi? «Quando manca un infermiere ci viene chiesto di coprire anche il suo turno con straordinari o con turni a gettone. Non è obbligatorio il gettone, ma lo facciamo perché senza il nostro sacrificio la situazione non regge». Il grande rammarico di Davide è aver visto la sottovalutazione della seconda ondata: «Chi doveva pensarci non ci ha pensato per tempo». Ora rischia di saltare tutto il sistema regionale. «Ho letto l’appello fatto dal direttore generale e dal sindaco agli altri ospedali lombardi, ma il problema è regionale. Anni di tagli alla sanità pubblica hanno messo in ginocchio tutte le strutture: come faranno ad aiutarci con gli organici ridotti? La Lombardia non merita un livello così basso di cura delle persone».