Il grecale è un vento tipicamente mediterraneo che molesta il sereno e dunque è destinato a perturbare. Grecale è anche il titolo della installazione site-specific che Gregorio Botta allestisce nella silente e ovattata cripta della Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, per la cura di Ludovico Pratesi (visitabile fino al 6 giugno). La cripta preserva l’humus geniale del suo saturnino architetto, quel Francesco Borromini che la realizzò nel 1664 su commissione della famiglia Falconieri. In una dimora lì accanto, Borromini morì suicida nel 1667, gettandosi sulla spada che lo trafisse da parte a parte e lasciando ai posteri la sua preziosa biblioteca e, non ultimo, fu sepolto nella stessa chiesa.

NEL PURISSIMO spazio ellittico che Borromini ha ritagliato, si inserisce altrettanto armonicamente l’intervento di Botta, una installazione potente composta da dodici leggii filiformi realizzati in ferro che sorreggono altrettanti candidi libri rilegati a mano. Le loro pagine composte da impalpabili veline, scorrono e si scompongono sotto l’azione delle folate di un metaforico vento grecale che è attivato dall’azione di quattro ventilatori, posizionati tra le colonne che ripartiscono le aperture della cripta.
L’assiduità con cui le pagine si arruffano, si piegano e si innervosiscono sotto l’azione impetuosa dei soffi del vento rimandano alla continuità nel tempo, filigranata dall’umore di quell’Opus architectonicum, lo spazio vibratile e ritmico borrominiano, insieme a quell’inquietudine perenne che ha sempre fluttuato nel suo pensiero.

SOTTOLINEA l’artista: «Il grecale è un vento che soffia sul Mediterraneo come una leggera e fresca brezza estiva, come l’aria che muove le pagine dei libri, una sorta di pneuma che ci riporta alla persistenza delle cose, che superano la vita degli esseri umani». Nella brochure che accompagna la mostra, oltre al testo del curatore, un ispirato scritto Pagine perse di Paolo Giordano suggerisce la pertinenza.
Riferimenti a parte, l’installazione è ipnotica e affabulante. Affascina per la nettezza del suo costrutto, privo di elementi impuri, eclatanti o inutili, empatizza per la sua evocazione concettuale e avvince per la sua interlocuzione spaziale. Ancora una volta l’artista, interagendo tra opera e spazio, declina con leggerezza e incanto il «sensibile» nelle sue pieghe imperscrutabili, scavando in quel limine che è allocato tra visibile e invisibile, tra finitezza e infinitezza che delineano l’esistenza.