Hanno trent’anni, sono laureati, svolgono una professione che amano, hanno entrate soddisfacenti, per la media italiana, possono permettersi un mutuo, un figlio in arrivo, vacanze senza esagerazioni, insomma una vita perfettamente inquadrata nello schema capitalista che ti vuole affidabile e solvente per tutte le rate che dovrai onorare da qui alla pensione, più o meno. Eppure… Nonostante nessuno dei due sia per natura votato alle barricate, il problema lo sentono e provoca in loro un sommovimento che per ora è avversione, ma potrebbe diventare aperto dissenso, una sorta di «Io non ci sto più. Arrangiatevi».

DICE LUI: «La cosa più preziosa è il tempo. Bisognerebbe lavorare non più di sei ore al giorno, perché se esci di casa alle otto, torni dodici ore dopo, poi devi curare la casa, fare la spesa, cucinare, passi l’85 per cento della tua giornata in incombenze. Alla fine ti resta solo il tempo per dormire e se vuoi andare in vacanza sei sempre lì a contare i soldi. Io ho molte richieste di lavoro, ma ho deciso di rifiutare posti che non prevedono un briciolo di smart working. In molte aziende italiane c’è ancora la mentalità del cartellino da timbrare, anche per lavori di concetto. Gli straordinari o la trasferta, poi, li pagano con tariffe ridicole. Vogliono quasi tutto il tuo tempo di vita, ma la vita è una e vale di più dei salari che ci danno».

Nei giorni scorsi, il ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini ha detto: «Dei 320 funzionari di amministrazione messi a concorso per motorizzazione e provveditorati, una quota consistente ha rinunciato a prendere servizio a meno che non fosse indicata una sede al Sud. La stessa cosa temiamo che accada per il primo concorso rivolto agli ingegneri». Se si guardano gli stipendi, è facile capire perché. Nella media, i compensi si aggirano attorno a i ventiquattromila euro lordi l’anno. Il Codacons ha calcolato che mangiare a Milano costa il 47% in più che a Napoli, per non parlare degli affitti. Trasferirsi significa o fare rinunce, o non arrivare a fine mese. Sempre più gente non vuole solo un lavoro, ma anche una vita dignitosa e questo spiega perché Il fenomeno della Grande Dimissione, iniziato negli Usa, ha preso piede anche da noi dove, per esempio, la ristorazione fatica a trovare camerieri e cuochi.
Nella lectio magistrali con cui l’economista Christian Marazzi ha, nei giorni scorsi, chiuso la sua carriera di docente universitario alla Supsi di Manno, in Svizzera, ha citato una frase dello scrittore Jerome K. Jerome che dice: «Mi piace il lavoro. Mi affascina. Potrei stare ore a guardarlo».

IN UNA BELLA intervista rilasciata al quotidiano «La Regione» Marazzi dice: «Il consumo esasperato ha reso necessario ulteriore lavoro altrettanto esasperato, che combinato all’indebitamento ha permesso al capitalismo di ’riacciuffare’ il destino delle persone, molte delle quali oggi sono povere non perché non possono consumare ma perché consumano troppo e restano intrappolate nella spirale del debito».Riferendosi alla Grande Dimissione ha aggiunto: «Ogni uscita è anzitutto un esodo semantico che solo in un secondo tempo assume concretezza. Dalla sindacalizzazione degli operai di Amazon alle lotte dei fattorini si vedono nuove forme di lotta organizzata. Se ascoltiamo il lavoro, ci dice che siamo soggetti di diritti sociali che vengono sempre più contestati e che invece dovrebbero essere riconosciuti per il fatto stesso di esistere».
Il Grande No non è solo un gesto che ribalta i rapporti di forza, è anche un simbolico che gira le spalle a un modello di vita, perché ne desidera un altro.
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