«Quello che più mi spiace è perdere il lavoro che amo. Potrà sembrare strano, ma ogni mattina mi alzo e non vedo l’ora di andare ad abbracciare i miei bambini. Molti mi invidiano per questo». Sandy quasi si commuove raccontando della sua professione, educatrice di asilo nido. Precaria da cinque anni. Ora, il suo posto è appeso a un filo, fragilissimo: «La sensazione è che tutto stia finendo. E questo lento declino è la metafora della condizione che vive la mia città, Alessandria». Insieme ad altri 187 lavoratori delle aziende partecipate (Aspal, Costruire insieme, Atm, Fondazione Tra) è in esubero, secondo il piano di risanamento ipotizzato dal Comune, il primo capoluogo di provincia costretto, un anno fa, a dichiarare il dissesto, il fallimento. Alessandria è una città che sta morendo, ma non vuole perdere la speranza di una rinascita. Questa mattina scenderà in piazza per lo sciopero generale – pubblico e privato – proclamato da Cgil, Cisl e Uil. Due giorni prima del tavolo interministeriale a cui parteciperà, a Roma, il sindaco Rita Rossa (Pd).
«Senza le educatrici precarie, noi personale in ruolo potremmo tenere aperti solo la metà degli attuali asilo nido» spiega Virginia Bonino. Sandy ha appeso la sua foto sullo scalone di Palazzo Rosso, la sede del Comune, e lo ha fatto con altre educatrici (assorbite come lei nell’azienda speciale Costruire insieme), e con i lavoratori di un’altra partecipata, l’Aspal, ora in liquidazione, che offre servizi per la persona, educativi e culturali, Informagiovani. «Accanto alle nostre immagini, abbiamo scritto “Noi non siamo numeri, ecco i nostri volti”», costruendo un muro del pianto, racconta Stefano Bianco, animatore della ludoteca comunale. La sindaca Rita Rossa, eletta nel maggio 2012 – dopo la malagestione di Piercarlo Fabbio (Pdl) – con il 68% e un carico di speranze, negli ultimi mesi è stata spesso bersaglio di critiche. «In giunta hanno prevalso i talebani dei licenziamenti», sbotta Silvana Tiberti, segretaria cittadina della Cgil.
Schiacciata tra le norme della legge sul dissesto e i vincoli del patto di stabilità, Alessandria è una città depressa. Le tasse aumentano, i negozi chiudono, le fabbriche sono in cassa e i servizi comunali sono a repentaglio. Se ai tempi della grandeur del sindaco Fabbio, che ha lasciato un buco nelle casse comunali di oltre 150 milioni di euro (causa del default), si compravano con leggerezza rose in Moldavia per 500 mila euro e orchidee per 90 mila, mentre il debito della città cresceva, ora il Comune non ha nemmeno più soldi per sistemare le buche nelle strade. Il berlusconiano Fabbio adesso siede nei banchi dell’opposizione comunale e contemporaneamente è imputato nel processo che lo vede accusato, insieme all’assessore al bilancio, Luciano Vandone, e all’ex Ragioniere Capo di Palazzo Rosso, Carlo Albero Ravazzano, di falso, abuso d’ufficio e truffa ai danni dello Stato per aver modificato il bilancio consuntivo 2010, così da far configurare il rispetto del patto di stabilità.
In piazza Libertà è rimasta fino a ieri la tenda dei lavoratori delle partecipate. Quelli di Aspal (tra 58 e 68 esuberi paventati su 76 dipendenti) che, racconta Stefano Bianco, auspicavano una ricapitalizzazione per salvare «servizi essenziali atti a garantire una migliore qualità della vita soprattutto per le fasce più deboli». Quelli di Costruire insieme (65 esuberi, educatori e cuoche), dove le Operatrici che non si arrendono, con Virginia Bonino, Antonella Frache, Gianna Dondo e tutte le precarie, avevano annusato aria di privatizzazione già nel 2010. Quelli di Atm (trasporto pubblico, 50 esuberi, si parla in realtà di contratti di solidarietà, su 229 addetti) e di Amiu che, gestisce i rifiuti e ha la migliore situazione, dovrebbe mantenere il personale. E, infine, quelli della Fondazione Tra (Teatro regionale alessandrino) con 15 dipendenti a casa.
Sono quasi tre anni che Alessandria non ha più il suo teatro, dopo una maldestra bonifica all’impianto di riscaldamento, costruito in amianto, che lo ha portato alla chiusura. Era stata affidata a una società suggerita dal braccio destro di Fabbio, il potentissimo Lorenzo Repetto, ex presidente di Amag (considerato il serbatoio clientelare della passata maggioranza), anche lui a processo per truffa e abuso d’ufficio.
Gli anni dell’Alessandria da bere sono lontanissimi. Ed è lontano pure lo scorso autunno quando in piazza si ritrovarono uniti lavoratori, sindacati e amministratori comunali, per protestare contro i vincoli che stritolavano la città. L’amministrazione Rossa, che ha perso gli assessori più a sinistra (Nuccio Puleio e Giorgio Barberis, in contrasto con le scelte) ha lanciato un risanamento, che il sindaco definisce «accompagnato»: «Nessuno sarà lasciato in mezzo a una strada, chiederemo ammortizzatori a Roma». Ma con il sindacato la distanza è aumentata, al pari della tensione.
La Cgil parla di macelleria sociale. «L’amministrazione di centrosinistra – sottolinea la segretaria Tiberti – ha aspettato che piovessero aiuti dal cielo. Il sindaco si è consegnato nelle mani di tecnici che teorizzano che per ricostruire bisogna prima distruggere, come l’attuale assessore al Bilancio, Matteo Ferraris, già funzionario di Confindustria. Alessandria farà da cavia e rimarrà l’unica a pagare norme che penalizzano chi dichiara il dissesto. L’amministrazione offre lo scalpo dei lavoratori delle partecipate. Al ministero dell’Interno non basta; contesta l’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato e pretende il taglio di 27 milioni di spese in un anno. Così si ammazza la città. Senza servizi anche le industrie se ne andranno. Il sindaco chieda a Roma tempo, soldi da restituire e ammortizzatori ad hoc».