Nella strage di Sutherland Springs di domenica scorsa, ventisette persone compreso l’assalitore suicida sono morte sotto i colpi di un Ruger AR-556, un fucile semi-automatico da settecento dollari. La più grave sparatoria di massa nella storia del Texas ha riaperto con la sua stanca ritualità il dibattito sulla vendita delle armi, con pochissime speranze di cambiamento.
Lo stesso Trump ha chiuso il dibattito sostenendo che all’origine della strage ci sarebbero i problemi mentali dell’assassino Devin Kelley, non le sue quattro armi da fuoco acquistate liberamente nonostante i precedenti penali. Si è aperta una piccola polemica sul ruolo dei farmaci anti-depressivi (di cui Kelley per altro non faceva uso), che ha costretto il presidente della American Psychological Association a chiarire che non ci sono evidenze scientifiche di un legame tra questi farmaci e le sparatorie di massa. Se la discussione gira a vuoto, è anche per la pesante censura che da vent’anni grava sulla comunità scientifica statunitense.

PUÒ APPARIRE paradossale che dopo l’ennesima strage gli esperti discutano di pillole e non di pistole. Ma negli Stati Uniti l’influenza culturale della lobby delle armi è ancor più forte di quella economica. In effetti, i tre milioni di dollari investiti annualmente dalla National Rifle Association (la lobby che difende il diritto degli americani ad acquistare un’arma) per portare dalla sua parte i parlamentari statunitensi possono sembrare tanti, ma nel panorama lobbystico americano non è poi molto: l’associazione degli agenti immobiliari, per esempio, investe quindici volte tanto. L’influenza dell’industria delle armi, però, è imbattibile sul piano ideologico. Non a caso il suo maggiore successo politico si chiama Dickey amendment, un articolo presente in ogni legge finanziaria dal 1996 a oggi: l’«emendamento Dickey» impedisce agli esperti di svolgere con fondi pubblici ricerche sul costo sociale della vendita delle armi. Il bavaglio ai ricercatori ha fatto sì che, negli ultimi venti anni, le sparatorie di massa si siano susseguite con un ritmo da guerra civile, mentre le analisi che ne indaghino seriamente le cause e forniscano raccomandazioni utili alla politica latitano. Eppure gli Usa, in cui sono detenute quasi la metà delle armi private al mondo, con un record di crimini senza pari al mondo e con leggi diverse in ogni stato, sono un campo di ricerca ideale.

NEL 1996, JAY DICKEY era un oscuro deputato repubblicano dell’Arkansas e, per sua stessa dichiarazione, il punto di riferimento della Nra al Congresso. Al momento della discussione parlamentare sull’Omnibus Spending Bill (la versione americana del decreto «milleproroghe»), riuscì a infilare nella legge un taglio di 2,6 milioni di dollari ai finanziamenti destinati al Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie (Center for Disease Control and Prevention, Cdc). Era esattamente la cifra che il Centro aveva dedicato, nell’anno precedente, alle ricerche sull’impatto sanitario della vendita delle armi private negli Stati Uniti. Per essere più chiaro, l’emendamento stabiliva che «nessun finanziamento destinato al controllo e alla prevenzione degli infortuni da parte del Centro dovesse essere usato per appoggiare o promuovere limitazioni alla vendita delle armi». Tra i voti favorevoli, quello di Bernie Sanders: il tema spaccò la sinistra statunitense. Fu un gran giorno per Dickey, che riuscì anche a far passare il bando alla distruzione degli embrioni a scopo di ricerche finanziate da soldi pubblici, richiesto dalla lobby anti-abortista. Si concludeva così una campagna della Nra iniziata nel 1993 contro il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie. Il Cdc era colpevole di aver finanziato un’approfondita ricerca dell’epidemiologo Arthur Kellermann pubblicata sul prestigioso New England Journal of Medicine, citata esplicitamente nella discussione parlamentare.

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SECONDO LO STUDIO, che analizzava le cause dei 24mila morti l’anno per armi da fuoco, la presenza di un’arma in casa triplica il rischio di essere uccisi. Tale conclusione smentiva la retorica a favore della libera circolazione di fucili e pistole, secondo cui un cittadino armato è al sicuro dai criminali. La campagna della lobby delle armi puntava alla chiusura del Cdc, ma dovette accontentarsi del taglio ai finanziamenti. Tuttavia, l’obiettivo di fondo fu raggiunto.
La vaghezza dell’emendamento Dickey, infatti, non chiariva quali ricerche fossero permesse, ponendo gli scienziati in una zona grigia che metteva a rischio progetti di ricerca e carriere. «La comunità scientifica è terrorizzata dalla Nra», affermò Mark Rosenberg, all’epoca direttore del Cdc. I ricercatori furono costretti a riferire in anteprima alla Nra i risultati delle ricerche che riguardavano le armi da fuoco e molti scienziati decisero di dedicarsi ad altro. La ricerca sull’impatto delle armi negli anni è calata in maniera impressionante, potendo contare quasi esclusivamente sui finanziamenti di fondazioni private. Nel bilancio del Cdc, il budget per le ricerche sulle armi è sceso del 96% a soli 100mila dollari l’anno. Come ha fatto notare sul New York Times il deputato democratico Steve Israel, è un quarto dei fondi stanziati dal governo per studiare gli effetti del massaggio svedese sui conigli (qualunque cosa sia).

IL DIBATTITO SULLE ARMI naturalmente è proseguito, ma rimanendo sempre sul piano dello scontro politico tra opposte fazioni e privo di riscontri oggettivi. Per il ventennio successivo, le società scientifiche statunitensi hanno ripetutamente chiesto di togliere il bando alla ricerca sulle armi. All’indomani di ogni strage, soprattutto la American Psychological Association e la American Medical Association rilanciano regolarmente il tema, ed è avvenuto anche dopo le stragi di Las Vegas e di Sutherland Springs. Ma la politica, sotto l’influenza della lobby, ha risposto colpo su colpo (in senso metaforico). Nel 2009, ad esempio, a studiare il legame tra possesso delle armi e rischio di aggressione ci ha provato il National Institutes of Health, un centro di ricerca pubblico diverso da quello del 1993, giungendo alle stesse conclusioni di Kellermann.

PER TUTTA RISPOSTA, nel 2011 il Congresso ha esteso il bando a tutte le agenzie di ricerca sanitaria statunitense. Neanche l’amministrazione Obama è riuscita a espungere l’emendamento Dickey dalle proprie leggi finanziarie, sconfitta dalla maggioranza parlamentare repubblicana. E gli anni di Trump non lasciano grandi margini al cambiamento.
Jay Dickey, dopo la carriera parlamentare, intraprese una carriera da lobbysta con una propria società di consulenza. Strage dopo strage, il suo appoggio ai gruppi pro-armi si indebolì. Nel 2012, dopo il massacro di Aurora in cui il ventiquattrenne James Holmes uccise dodici persone in un cinema, firmò un appello sul Washington Post contro il suo stesso emendamento insieme al nemico di un tempo, l’ex-direttore del Cdc Rosenberg. Ma l’emendamento Dickey si è dimostrato più longevo del suo autore, morto nell’aprile di quest’anno a 77 anni.
Il tema della censura delle ricerche «scomode», sollevato dal manifesto proprio una settimana fa a proposito della Cina, coinvolge dunque anche paesi democratici come gli Stati Uniti. E se un tempo riguardava il tabacco o le armi, oggi rischia persino di estendersi a questioni globali apparentemente impossibili da nascondere, come il mutamento climatico.

SCHEDA

Secondo un’inchiesta del «New York Times», fra il 1966 e il 2012 negli Usa si sono verificate 90 sparatorie con almeno quattro vittime. Ma delle cinque più gravi della sua storia, quattro sono avvenute dal 2012 a oggi. Anche se sono citate altre cause all’origine di questo fenomeno come le malattie mentali e i videogiochi, in realtà il numero di armi in circolazione sembra di gran lunga la spiegazione principale. Negli Usa circolano 270 milioni di armi private, il 42% del totale mondiale. Nessun altro paese ha un numero paragonabile di armi in circolazione, né una casistica criminale simile. Il numero delle armi cresce rapidamente, ed è raddoppiato tra il 2010 e il 2013. Tuttavia, il numero delle famiglie in cui è presente un’arma è costante calo, dal 50% degli anni ’70 al 31% odierno. La conseguenza è ci sono meno persone armate, ma sono molto più pericolose di prima.