Karla Lara non canta più. La sua voce non piace a chi ha preso il potere in Honduras dopo il colpo di Stato dell’estate 2009. È diventata “stonata”, Karla, per il suo impegno nel movimento femminista e nella Resistenza, per aver scritto, con Lampo de cielo, la canzone che nelle manifestazioni ha sostituito l’inno nazionale del Paese.

In ottobre è stata in Italia, durante un tour europeo per raccontare il dramma del popolo hondureño, prima delle elezioni presidenziali. Domenica si vota per la seconda volta dopo il golpe del 28 giugno 2009, che depose l’allora presidente Mel Zelaya. Sua moglie, Xiomara Castro, candidata per Libertà e rifondazione (Libre), sarebbe favorita.

Cosa è successo negli ultimi 4 anni in Honduras? Credi che una vittoria della candidata di Libre possa cambiare qualcosa?

Il Paese è tornato indietro in termini di “democrazia”. Un regime di “lupi” (Karla gioca col nome del presidente in carica, Porfirio Lobo, ndr) che si sono mascherati da agnelli per manipolare la parola riconciliazione ha imposto una cultura di morte. Il Paese è ingovernabile, e ciò è acuito dall’azione del presidente del Parlamento, che è candidato alla presidenza della Repubblica per il partito di Lobo: violando accordi internazionali e la Costituzione, è in vigore una legge anti-terrorista e sulle intercettazioni, che criminalizza e sottopone ad attenzione giudiziaria tutti gli attivisti. Lo Stato disconosce i diritti dei lavoratori e ha annullato il potere della polizia civile per militarizzarla, creando una «polizia militare», che può agire con mandato extragiudiziale motivato solo dall’«appartenenza alle file della Resistenza». Tutto questo avviene nel silenzio assoluto del potere giudiziario. Su questa tela di sangue e frustrazioni, il popolo dipinge il simbolo di Libre: appoggiare un partito che con toni demagogici si offre di derogare leggi, di restituire diritti, di non riconoscere concessioni, di castigare assassini rappresenta una sfida, ma a giudicare dalle presenze ai meeting, e se confidiamo nei sondaggi, Xiomara Castro sarà la prossima – e la prima- presidente donna in Honduras. Vedremo poi quanto tempo ci vorrà per restituire ciò che si è perso, per confortare un popolo in lutto, e se sarà in grado di prevedere le reazioni violente della destra golpista.

Quali gruppi sociali subiscono con più violenza la repressione della polizia, dell’esercito e del governo?

I poveri, e in particolare i giovani poveri, verso i quali c’è una politica di sterminio. A partire dalla creazione della Polizia militare, lo scorso 3 ottobre, abbiamo assistito a numerose irruzioni nelle case dei quartieri popolari, o in territorio indigeno.

Che fase attraversa il processo di resistenza e rifondazione? Il movimento parteciperà, e in che modo, al processo elettorale?

L’Honduras è teatro di alcune mobilitazioni territoriali emblematiche contro l’industria estrattiva neo-coloniale. Penso al blocco stradale del popolo lenca di Río Blanco contro il progetto idroelettrico denominato Agua Zarca, la mobilitazione a Nueva Esperanza contro un progetto minerario, la sollevazione del popolo tolupán a Locomapa, nel dipartimento di Yoro, la lotta per la terra e la libertà di comunicazione a Zacate Grande, il controllo del territorio nel Nord di Intibucá e in vari municipi di Santa Bárbara, il recupero di terre a Vallecito, Atlántida, da parte dei popoli garífuna. Queste lotte si muovono al margine delle azioni della dirigenza del Fronte nazionale di resistenza popolare o di Libre, ma queste “frontiere” non esistono se parliamo della popolazione organizzata: in molti casi, coloro che partecipano alle mobilitazioni simpatizzano o sono militanti di Libre. Le organizzazioni che hanno partecipato con le posizioni riconosciute come «rifondazionali» hanno invece dato vita a una «Piattaforma del movimento sociale e popolare di Honduras». Uno spazio che non invita a votare, ma nemmeno a disertare le urne: rispetta le decisioni personali e delle singole organizzazioni.

L’Honduras è diventato un Paese quasi impossibile per i giornalisti, molti dei quali finiscono assassinati: il governo ha paura dei media?

Non credo che gli omicidi siano un modo per punire chi non la pensa come il governo, perché molte delle vittime sono vicine alle posizioni dei conservatori. Piuttosto, penso che il governo voglia incutere terrore, e ci riesce uccidendo personalità riconosciute. Ciò significa che a fronte di 29 giornalisti assassinati ci sono 8 milioni di honduregni “bloccati”.

Dopo il golpe, il saccheggio delle risorse naturali non si è mai fermato. Che accade alle comunità che si oppongono contro mega-progetti, miniere, e contro il furto di terre fertili?

Esistono realtà nelle quali dalla resistenza rinasce una vita comunitaria, capace di superare le logiche individualiste di un sistema che impone «l’avere» al «condividere». La speranza risiede in questi esercizi di autonomia territoriale, nel riconoscimento di una ricchezza che possediamo non per «sfruttarla fino in fondo», come vorrebbe il potere multinazionale, ma per utilizzarla con rispetto, prendersene cura e difenderla. Non dimentico, però, che oltre 3mila persone sono state sottoposte a processi sommari dopo il colpo di Stato, e che oltre 500 persone sono state assassinate per motivi politici. Né dimentico la persecuzione politica in corso nei confronti di Berta Cáceres, Tomás Gómez y Aureliano Molina del Copinh o di Magdalena Morales della Cntc

Da qualche anno il Collettivo Italia-Centro America (www.puchica.org), promuove la presenza di volontari in Honduras, all’interno di “accampamenti” di osservazione dei diritti umani. È necessaria questa presenza internazionale?

Per molti ha già rappresentato la differenza tra la vita e la morte. La presenza dei volontari non garantisce totalmente la sicurezza nemmeno per chi viene, però è uno scudo per le comunità, un deterrente di fronte alla violenza. Alla parola «remoto» nelle nostre terre sono associati significati che è difficile spiegare: una strada impercorribile; comunicazioni “elettroniche” difficili perché non arriva il segnale; una scuola senza maestri; un centro di assistenza sanitaria senza medicine. Un oblio che ha radici lontanissime. La presenza internazionale rompe questo isolamento: se anche accadrà qualcosa di brutto, la comunità sa che l’informazione supererà i confini, e questo limita in qualche modo il potere dal perpetrare azioni violente. Ciò che accade in Honduras rende ancora necessaria la loro presenza.

* Altreconomia (per leggere una versione estesa di questa intervista: www.altreconomia.it/karlalara )

[/FIRMA_SOLA][FIRMA_SOLA][FIRMA_SOLA]