La prima precisazione è arrivata alle 17,36. Tra governo e Inps non c’è alcuno scontro sul piano «Non per cassa ma per equità» presentato ieri dal presidente dell’Inps Tito Boeri. «L’uscita della proposta era concordata con palazzo Chigi» hanno assicurato, sicure, fonti del governo. L’impressione immediata è che sia stata una scusa non richiesta da parte di un esecutivo più imbarazzato che contento del protagonismo del presidente dell’Inps Boeri che si è concretizzato in una proposta organica di 69 pagine e 16 articoli. Lo scontro nel governo è emerso da altre fonti provenienti dal ministero del lavoro alle 20,23 in cui, tra l’altro, si afferma che il piano di Boeri sulle pensioni comporterebbe alti «costi sociali» che graverebbero sulle spalle di «milioni» di pensionati.

«Al momento si è deciso di rinviare – continuano le fonti – perché quel piano, oltre a misure utili come la flessibilità in uscita, ne contiene altre che mettono le mani nel portafoglio a milioni di pensionati, con costi sociali non indifferenti e non equi». Quindi il contrario di quanto afferma il bel titolo del documento di Boeri. Tutto sembra essere rimandato all’anno prossimo, quando il governo promette di «intervenire in modo organico sul tema, ma senza effetti collaterali». Il ministro dell’Interno Alfano ha voluto dire la sua e ha tacciato Boeri di «demagogia». Al termine di una giornata caotica sul fronte delle pensioni ieri è sembrato che Boeri abbia messo le mani avanti in un conflitto in cui Palazzo Chigi ricopre un ruolo non secondario.

L’intervento sulle pensioni prospettato dall’Inps contempla l’armonizzazione delle regole dei dirigenti sindacali con quelle degli altri lavoratori pubblici, l’istituzione del «sostegno di inclusione attiva» (il Sia, un sussidio di povertà) agli over 55 che hanno perso il lavoro da finanziare con il taglio in percentuale ai vitalizi a 4 mila persone e alle cosiddette «pensioni d’oro» di 250 mila persone, la flessibilità in uscita dal lavoro, il riordino delle prestazioni assistenziali per gli over 65. Tra le numerose considerazione c’è anche quella sullo sblocco del turn-over nella P.A.: l’uscita anticipata dal lavoro dovrebbe favorire l’entrata dei giovani in un’ottica anti-precariato. Peccato che nella legge di stabilità il governo voglia riportare il blocco al 25%, mentre i nuovi contratti «a tutele crescenti» del Jobs Act non permettono di sostituire i lavoratori dipendenti in uscita con altri nuovi della stessa tipologia: loro non avranno né l’articolo 18, né lo stesso contratto.

Il sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti ha messo in parole il disagio provocato dal conflitto in corso. Quello che non convince è il «metodo» di Boeri: «Negli ultimi 15 anni – ha detto Zanetti – si sono creati spesso momenti di confusione di ruolo tra Ministro delle Finanze e Direttore dell’Agenzia delle Entrate. Al di là della condivisione di merito delle proposte di Boeri, non crediamo che sarebbe un passo avanti per la credibilità della politica sommare una stagione di analoga confusione di ruolo tra Ministro del Welfare e Presidente dell’Inps». Ecco il punto: le proposte concordate tra l’Inps e Palazzo Chigi pestano i piedi a Poletti che avrebbe la competenza su queste materie. L’interlocuzione diretta tra Boeri e Renzi è tutta da dimostrare, ma rientrebbe nello stile del presidente del Consiglio, non nuovo a questo «metodo».

Ieri però Renzi ha dato segnali anche contrari rispetto alle voci fuggite da Palazzo Chigi. In un’anticipazione di un’intervista a Bruno Vespa, contenuta in un suo libro in uscita, il premier avrebbe detto esattamente il contrario di quanto sostenuto dalle sue fonti: “Se metti le mani sulle pensioni di gente che prende 2 mila euro al mese, non è una manovra che dà serenità e fiducia – ha detto – Per carità, magari è pure giusto a livello teorico Non mi è sembrato il momento: dobbiamo dare fiducia agli italiani». Lo stesso Boeri aveva criticato il governo sul mancato inserimento nella legge di stabilità di un intervento sulle uscite flessibili e una gestione più semplice del turn over nella P.A.

«Le misure nella manovra non saranno sufficienti – ha detto Boeri – e daranno la spinta a misure parziali molto costose». «»Il governo non l’ha voluto fare la riforma perché teme un peggioramento dei conti che non può permettersi. Ma avrebbe senso farlo e migliorerebbe il problema degli esodati – sostiene Felice Roberto Pizzuti, esperto di pensioni e docente alla Sapienza di Roma – Nell’immediato potrebbe esserci un aumento della spesa e una riduzione delle entrate da coprire con una maggiore flessibilità». «Boeri non è il legislatore – afferma Stefano Fassina (Gruppo misto Camera) dovrebbe ricordare qual è il suo ruolo. Si faccia nominare ministro del Lavoro e poi coerentemente faccia le proposte che ritiene».La segretaria della Cisl Furlan è seccata: «Siamo stufi di annunci – ha detto – di ipotesi di opinionisti, ministri e del presidente dell’Inps, facciamo le cose seriamente, il Governo convochi le parti sociali».

La proposta di Boeri di abbattere del 50% la povertà fra chi ha più di 55 anni, senza lavoro e non ha ancora maturato i requisiti per la pensione finanziando il reddito minimo con le pensioni di 250 mila percettori di pensioni elevate e 4 mila percettori di vitalizi per cariche elettive è stata definita da Nunzia Catalfo (Movimento Cinque Stelle) «una misura frammentaria e parziale, un palliativo per tutelare soltanto una delle tante categorie sociali che, per colpa della crisi, sono sempre più povere». «La povertà in Italia – prosegue la senatrice – coinvolge ben 2 milioni 759 mila famiglie, composte non solo dagli over 55 ma anche da bambini, giovani». La soluzione sarebbe il «reddito minimo universale» che M5S definisce «reddito di cittadinanza».

Un’ipotesi respinta da tempo da Renzi, ma non esclusa da Boeri che mercoledì scorso in un dibattito all’istituto svizzero di Roma ha ricordato il problema dei problemi: in Italia non ci sono i soldi per finanziare questa misura. E non ci saranno finché i governi e l’Inps non porranno il problema politico di una riforma generale del Welfare in senso universalistico.