Il governo si salva per un voto, quello di Alessandro Colucci, deputato di Noi con l’Italia, la microformazione di Maurizio Lupi. L’emendamento della Lega che chiedeva di sopprimere l’articolo 6 della delega fiscale, quello sulla riforma del catasto, è stato bocciato in commissione Finanze alla Camera con 23 voti conto 22 a favore. Il presidente della commissione Luigi Marattin, Iv, ha rispettato la prassi e non ha votato. Senza quella defezione di Lupi il governo sarebbe caduto ieri, per quanto assurda possa apparire l’idea di una crisi di governo nel pieno di una crisi mondiale per una riforma che, oltre tutto, avrà effetti concreti solo nel 2026 e previo ulteriore passaggio parlamentare.

Draghi era entrato in campo di persona tentando di evitare la spaccatura con una telefonata a Silvio Berlusconi. Il Cavaliere è rimasto irremovibile. Non lo aveva convinto il giorno prima Gianni Letta, che si era esposto incautamente sino a garantire il sostegno azzurro allo stesso Draghi e a Brunetta, che a sera definirà il voto di Forza Italia «incomprensibile». Non c’è riuscito neppure il premier ieri. Draghi ha illustrato le sue ragioni. Berlusconi non si è smosso: il taglio delle tasse è un elemento qualificante e identitario troppo importante per Fi, il partito del taglio dell’Imu, per poter essere sacrificato. Anche di fronte al rischio di una crisi di governo nel momento peggiore.

FI AVEVA TENTATO di ricomporre la lacerazione con una riformulazione dell’emendamento che probabilmente, se accolta, avrebbe forse spostato anche la Lega, nonostante in mattinata, rivolto ai suoi parlamentari, Matteo Salvini avesse confermato la decisione di insistere sullo stralcio. Il testo approntato da Forza Italia specificava che la nuova mappatura degli estimi catastali non avrebbe potuto determinare variazioni nelle aliquote fiscali. La sinistra ha bocciato la riformulazione, che non è neppure arrivata alla presentazione e illustrazione in aula. Non poteva andare diversamente. Per quanto l’ipocrisia diplomatica e propagandistica obblighi a giurare che la nuova mappa catastale non comporterà aumenti delle tasse, è sin troppo evidente che l’emergere di abitazioni accatastate per valori molto inferiori a quelli reali non potrà che tradursi in aumenti del carico fiscale per qualcuno, soprattutto per le fasce più alte.

AFFOSSATO IL TENTATIVO di compromesso forzista, dopo ore di trattative e incontri, dopo un inutile vertice di maggioranza, Berlusconi ha rotto gli indugi e schierato il suo partito, che a differenza del Carroccio aveva votato a favore del provvedimento in consiglio dei ministri, con la Lega e con Fratelli d’Italia contro l’articolo 6. Per un po’ è sembrato che il voto dovesse slittare ancora, fino alla settimana prossima. Dopo il ritiro della firma di Colucci, pallottoliere alla mano, il governo ha capito di potercela fare, sia pure per un soffio, e ha deciso di forzare subito. È uscito vivo ma non indenne da una prova che poteva essere fatale.

La ferita, però, è profonda e il segnale più minaccioso di come non potrebbe. Il segretario del Pd Letta non minimizza lo strappo, al contrario ne evidenzia tutta l’importanza: «Il centrodestra ha tentato di far cadere il governo e non c’è riuscito per un soffio in uno dei giorni più drammatici della nostra storia recente. Sono senza parole». Non abbassa la tensione ma la campagna elettorale strisciante (per ora) è tale per tutti. Il presidente Marattin invece a minimizzare, o almeno a ridimensionare, un po’ ci prova, si augura «che si tratti di un incidente isolato». Non sarà così e a chiarirlo ci pensa subito una Lega furibonda: «Da oggi ci sentiamo liberi di votare secondo quelle che sono da sempre le nostre indicazioni. Con chiunque appoggi queste proposte». Significa che l’incidente, soprattutto al Senato dove i rapporti di forza sono più favorevoli alla destra, sarà sempre dietro ogni angolo.

NON È UNA DIFFICOLTÀ superabile perché quel che ha risposto Berlusconi a Draghi è vero: con le elezioni di fatto vicine nessun partito può rinunciare ai propri elementi identitari, neppure se in ballo c’è la sopravvivenza del governo. Ma un Mario Draghi che le circostanze hanno reso di nuovo commissario, incaricato di guidare il governo in un momento difficilissimo, a quell’esigenza non si vuole e forse non si può piegare.