Siamo allo scontro frontale sui migranti tra il governatore della Sicilia Musumeci e il governo nazionale. A quanto leggiamo, palazzo Chigi ha di nuovo chiesto al giudice amministrativo di risolvere una questione tutta politica.

Perché tale è l’uso strumentale dell’autonomia speciale siciliana nella dialettica maggioranza-opposizione, come grimaldello contro la coalizione di governo. Non è la prima volta che i governatori del centrodestra tirano la volata agli oppositori dell’esecutivo, magari con l’assist appena dissimulato di una quinta colonna come Bonaccini.

LA DOMANDA È: perché il ricorso al giudice amministrativo? Si ritiene inutilizzabile nella specie il potere sostitutivo di cui all’articolo 120 della Costituzione? Persino in una materia delicatissima come la gestione delle frontiere e la sovranità estera dello stato? Ma se non in un caso come questo, quando mai si potrà utilizzare il potere sostitutivo? Dobbiamo ritenere – come direbbero i giuristi – che tamquam non esset?

PARTIAMO dalla considerazione che lo statuto siciliano nasce prima della Costituzione repubblicana. È adottato con regio decreto legislativo nel maggio del 1946. È poi convertito con legge costituzionale numero 2 del 1948. Formalmente, è legge costituzionale. Ma, come ha chiarito la Corte costituzionale con le sentenze 38/1957 e 6/1970, la «costituzionalizzazione» dello statuto avvenne nel quadro della Costituzione repubblicana nel frattempo sopravvenuta, e compatibilmente con i suoi principi.

Nella sentenza 6/1970 la Corte affermò: «Una corretta interpretazione della legge costituzionale n. 2 del 1948 porta a ritenere, come già ebbe ad affermare questa Corte con la sentenza 38 del 1957, che non sono state munite di efficacia formalmente costituzionale le norme dello Statuto che, mentre non rientravano tra quelle dirette a realizzare “forme e condizioni particolari di autonomia”, si ponevano in radicale contrasto con la Costituzione della Repubblica».

Quindi in nessun modo lo statuto può essere assunto a fondamento di una repubblichetta parallela e alternativa rispetto alla Repubblica italiana. Ne segue che alla Sicilia si applichino tutti i principi che disegnano in termini generali il rapporto tra stato e regioni, salvo che lo statuto non disciplini diversamente in modo esplicito e inequivoco la fattispecie, e sempre che tale diversa disciplina sia compatibile con la Costituzione vigente.

E ALLORA: lo stato italiano dispone o no, nei confronti della regione Sicilia, di un potere sostitutivo nelle forme previste dall’articolo 120 della Costituzione, attuato dalla legge 131/2003? Una risposta positiva può articolarsi su due punti: a) l’articolo 120 non fa distinzione tra regioni a statuto ordinario e regioni a statuto speciale, mentre le fattispecie cui la norma è applicabile possono ovviamente realizzarsi indifferentemente in qualsiasi regione; b) lo statuto non contempla poteri sostitutivi, restando disciplinato solo il regime di impugnativa degli atti. Si delinea un solido argomento in favore dell’applicabilità nella specie dell’articolo 120.

Dunque la domanda: perché non si applica, e si sceglie invece il giudice amministrativo? La cosa non meraviglia troppo, dopo che persino in una banalissima questione di bar e ristoranti il governo ha preferito la via dell’impugnativa davanti al Tar per la regione Calabria. In quel caso il ministro Boccia dichiarò che sarebbe stato possibile attivare l’articolo 120, ma si era preferito non farlo. Evidentemente, la norma sollecita a palazzo Chigi violente reazioni allergiche. Ma qui siamo di fronte a una questione di principio e di assoluto rilievo. Piuttosto che il belato della pecora si vorrebbe sentire il ruggito del leone. Che avrebbe anche il vantaggio di mettere Musumeci a rincorrere il governo, e non viceversa.

L’USO – OVVIAMENTE nei limiti corretti – dei poteri di cui dispone è elemento essenziale dell’autorevolezza di un governo. Ci dica dunque palazzo Chigi perché l’articolo 120 non è utilizzabile. Se gli argomenti sono buoni ce ne faremo una ragione. Se no, prendiamo atto che viviamo una stagione in cui si assiste a un uso potenzialmente eversivo dell’autonomia. Che non è volta alla realizzazione degli interessi della comunità locale nell’ambito di quella nazionale, ma alla dolosa disgregazione per fini di battaglia politica dell’unità della Repubblica.