Non solo il governo Letta sta rimandando quasi tutto, e questa maggioranza non si può mettere in discussione per nessun motivo al mondo, ma alla prima votazione rilevante per la situazione economica del paese, il governo ha deciso di porre la fiducia sul “decreto del fare”. Lo ha annunciato ieri in aula alla Camera il ministro per i rapporti con il parlamento Dario Franceschini. La votazione inizierà questa mattina e andrà avanti ad oltranza. E tanto per cambiare tutta la colpa viene scaricata su Beppe Grillo e i suoi parlamentari colpevoli, a detta della maggioranza, di voler fare ostruzionismo a fini propagandistici, ritardando così un provvedimento atteso dai cittadini e bloccando l’attività parlamentare prima della pausa estiva. Eppure anche Sel e Cgil criticano il ricorso alla fiducia.
«Abbiamo un calendario molto complicato – si è giustificato Franceschini – sei decreti, le leggi europee, il ddl di riforma costituzionale, le leggi sui partiti e l’omofobia. Votare su 800 emendamenti non permette di rispettare i tempi». L’esecutivo aveva chiesto che gli emendamenti scendessero a «un numero ragionevole» – ha spiegato il ministro – Sel e Lega «avevano detto sì», mentre l’M5S ha scelto di non ritirare i propri. Perché? In verità anche i grillini erano già pronti a ridurli da 400 a 8, 4 dei quali però non condivisi dal governo. E così, quando l’accordo sembrava già fatto, l’esecutivo ha deciso di tirare dritto e puntare sulla fiducia. «Se il tema è costruire un percorso che consente all’aula di esprimersi in tempi ragionevoli sui singoli emendamenti è un conto, se invece il tema è l’accoglimento di un certo numero di emendamenti la cosa cambia», ha cercato (invano) di spiegare Franceschini.

«Ancora una volta la maggioranza non si è scongelata» hanno commentato invece i parlamentari dell’M5S, mentre Grillo sul suo blog introduceva il loro documento: «Oggi il governo di Capitan Findus Letta, mister non userò la leva della fiducia per far passare i provvedimenti, ha posto la fiducia sul decreto del fare pur di non discutere gli 8 emendamenti del M5S». Secondo i grillini, senza le modifiche il decreto «è impresentabile». I parlamentari Cinque Stelle, ad esempio, vorrebbero evitare l’ennesimo aumento delle accise sulla benzina: «Noi su questo avevamo trovato altre coperture ma non sono state accolte. Per il primo anno le coperture previste dal decreto si potevano trovare con la rinuncia ai rimborsi elettorali dei partiti che invece a luglio si intascano 91 milioni di euro».
Il decreto è composto da 86 articoli e risponde alle raccomandazioni giunte all’Italia dall’Europa in materia di riforme economiche e competitività. In realtà tra le pieghe della legge c’è un po’ di tutto. Norme per la semplificazione amministrativa e della giustizia, tagli e distribuzione di risorse. Fra i provvedimenti più popolari c’è una limitazione dello strapotere finora concesso a Equitalia: non potrà più essere pignorata la prima casa ed è previsto un allentamento dei tempi di rateizzazione dei debiti verso l’erario. Ma ci sono anche fondi per il rilancio dei cantieri e aiuti per le imprese.
Tra gli aggiustamenti dell’ultimo minuto c’è anche la liberalizzazione del wi-fi: ristoranti, negozi, esercenti potranno metterlo a disposizione degli utenti senza dover adempiere alcun obbligo legale «quando l’offerta di accesso non costituisce l’attività commerciale prevalente del gestore del servizio». Ma non mancano neppure gli errori. Il più scandaloso riguarda l’abolizione “per sbaglio” di un tetto agli emolumenti degli amministratori delle società non quotate che svolgono servizi di interesse generale, come le poste o le ferrovie. Nel testo è stata inserita una semplice parolina di tre lettere – “non” – che non doveva esserci, e siccome c’è la fiducia “la svista” alla camera non potrà essere corretta. Intanto la Cgil denuncia ulteriori tagli lineari alle spese per il funzionamento della pubblica amministrazione che colpiranno i lavoratori.