Un Def approvato senza una parola di commento, senza la tradizionale conferenza stampa, accompagnato solo da una nota tanto scarna quanto reticente di palazzo Chigi: «Confermati i programmi di governo. Nessuna nuova tassa. Nessuna manovra correttiva. Rispetto degli obiettivi fissati dalla commissione europea».
La riunione del Consiglio dei ministri era stata altrettanto fulminea, una mezz’oretta, appena il tempo di sedersi. La vera riunione che ha dato il via libera al Documento, presenti Conte, Tria, Salvini e Di Maio, invece era durata ore per concludersi però senza variazioni di rilievo alla bozza portata dal ministro dell’economia. Il premier e i due vicepremier sono tornati a riunirsi, ma stavolta senza Tria e il particolare è eloquente, dopo il Consiglio lampo. Salvini e Di Maio hanno poi disdetto gli impegni televisivi già assunti per la serata.

La sequenza delle riunioni, i tempi, il silenzio stampa dicono tutto sul quadro reale. Dicono tanto per cominciare che la tensione con il ministro dell’economia è di nuovo alta. Perché, proprio come la settimana scorsa in materia di rimborsi ai truffati, Tria anche stavolta non cede. La previsione di crescita che campeggia nel Documento è quella che aveva messo nero su bianco il Mef: la crescita di quest’anno, invece che dell’1%, sarà dello 0,1%. I decreti Crescita e Sbloccacantieri aiuteranno, ma di un soffio. Anzi di un decimale. Dunque la previsione per il prossimo anno è dello 0,2%. Il minimo indispensabile per rivendicare di aver almeno evitato la recessione e almeno per evitare che se ne parli apertamente. Non era quello a cui miravano Salvini e Di Maio, che avrebbero voluto previsioni un po’ più rosee, smentite un po’ meno feroci del quadro roseo dipinto con l’ultima legge di bilancio.

Ma il vero motivo di tensione non è neppure questo: è quel cappio che pende sin dalla manovra 2019 e si avvicina sempre di più. La clausola di garanzia. L’aumento dell’Iva per 24 miliardi. Di Maio voleva che fosse chiarito che quell’aumento non ci sarà. Esigeva e ha in parte ottenuto nella nota di palazzo Chigi, che venisse escluso formalmente il ricorso a nuove tasse. Per ora l’aumento nei conti c’è ma «in attesa di definire nei prossimi mesi misure alternative e un programma di revisione della spesa pubblica». È il trionfo della vaghezza, l’ammissione esplicita che per ora il governo non ha idea di come reperire i fondi per evitare l’aumento.
Tria è pronto a provarci. Ma non se allo stesso tempo dovrà anche trovare le coperture per la Flat Tax sulla quale invece insiste Salvini. Alla fine il «primo mattone» che il leader leghista voleva fosse inserito nel Def c’è. Ma è proprio un mattoncino e soprattutto è d’argilla. Si parla di un sentiero per «i prossimi anni» con l’introduzione «graduale» delle due aliquote del 15 e del 20% su cui si basa il progetto della Lega «a partire dai redditi più bassi». Senza indicare con precisione i tempi. Senza nominare quella platea dei redditi fino a 50mila euro indicata da Salvini che nella situazione data è per Tria inabbordabile. Senza specificare davvero con quali coperture, a parte il rimaneggiamento delle detrazioni e delle deduzioni e una «riduzione delle spese fiscali».

Salvini si dice soddisfatto: «La Flat Tax si farà: se ne parla in due passaggi. L’aumento dell’Iva non ci sarà». Di Maio canta vittoria: «La Flat Tax per il ceto medio è questione di buon senso». Ma è campagna elettorale. Il deficit è al 2,4%, dove lo avevano fissato Salvini e Di Maio l’anno scorso prima dell’intervento europeo. Ma soprattutto il deficit strutturale, invece di scendere sia pur lievemente, aumenta dall’1,3% all’1,6%. Con le elezioni alle porte Bruxelles farà finta di niente senza reclamare la manovra correttiva. Ma i nodi arriveranno al pettine a urne chiuse, quando bisognerà cominciare a parlare di coperture.
Sino a quel momento meno si parla di Def e per il governo meglio è. Perché il quadro che dipinge è opposto a quello che profetizzava il governo meno di quattro mesi fa. Perché sui due nodi principali, Flat Tax e aumento Iva, bisogna evitare domande che sarebbero inevitabilmente molto scomode. E perché sullo stato dei rapporti tra i vicepremier e il ministro dell’economia è meglio per ora calare un velo.