16.700 chilometri di binari, centinaia di stazioni, migliaia di immobili su tutto il territorio. Ma anche 30mila chilometri di strade e autostrade, 1.300 gallerie, 11.300 ponti, i grandi valichi delle Alpi. Tutta l’Italia che si muove lo fa su reti di Fs o Anas, che secondo i piani del governo Renzi-Gentiloni, la settimana prossima potrebbero diventare un polo unico delle infrastrutture e dei trasporti in una fusione che la destra (Fi e Lega) vede come il fumo negli occhi.

FS E ANAS infatti sono anche la più grande stazione appaltante d’Italia. Gestiscono 108 miliardi di investimenti garantiti nei prossimi dieci anni e un totale di 80mila dipendenti. Una macchina gigantesca di consenso e di interessi.

L’assemblea di giovedì 26, in cui il Tesoro sarà il dominus assoluto, dovrebbe approvare le nuove nomine e contemporaneamente concludere la fusione tra strade e binari decisa dal governo Gentiloni nel 2017.

La Lega – in parallelo alla partita su Cdp – si candida come regista dell’operazione, anche per questo si spiega la relativa morbidezza di Salvini verso Tria di questi ultimi giorni. Il Carroccio – ben più abituato dei 5 Stelle ai meccanismi reali del potere – punta al controllo totale dei centri di spesa dello stato, vedi il Cipe e la presidenza del consiglio con Giorgetti. La stragrande maggioranza degli investimenti previsti infatti riguarda il Nord, con forti appetiti politici oltre che economici.

LE GRANDI OPERE sono una delle poche possibilità di spesa pubblica. Non a caso il ministro pentastellato Toninelli (lombardo di Cremona) è circondato da due sottosegretari leghisti, entrambi liguri, Rixi e Siri, vicinissimi a Giorgetti e Salvini, usciti all’unisono con interviste a Stampa e Corsera contro la fusione di Anas in Fs. Ora che il progetto è sulla linea del traguardo il nuovo governo vuole tornare al via.

[do action=”citazione”]Toninelli – un po’ come sui porti e i migranti – è frastornato dal martellamento della Lega.[/do]

Pretendendo «discontinuità» e per un rinvio a giudizio in una vecchia vicenda legata al trasporto pubblico umbro, con una lettera a Tria il ministro ha già indicato la porta all’attuale numero uno di Fs (renziano) Renato Mazzoncini, irritualmente confermato fino al 2020 dal governo Gentiloni a camere sciolte. Ma non ha ancora sciolto la riserva sul nome da consegnare al Tesoro.

LA LEGA È PRONTA A PRENDERE il banco e punta su Giuseppe Bonomi (Arexpo e nel cda del gruppo Fnm che gestisce le ferrovie lombarde) e su Maurizio Gentile, attuale capo di Rfi (la società che gestisce i binari). Il paradosso è che lo stesso Gentile presto potrebbe essere anche lui rinviato a giudizio per la strage di Pioltello del 25 gennaio scorso, in cui cunei di legno tra le rotaie e la mancata manutenzione del compartimento di Milano causarono il deragliamento di un treno pendolari e la morte di 3 donne. Per una clausola nello statuto (articolo 10), i manager di Ferrovie rinviati a giudizio devono dimettersi. Quindi anche il nome di Gentile, attualmente il candidato interno più accreditato, potrebbe rotolare nella polvere e portare un esterno.

EX RENZIANO, EX ALFANIANO, 55 anni, oggi leghista, l’ingegner Gentile è un professionista che ben conosce l’azienda e la politica. Recentemente ha firmato 14 miliardi di investimenti solo in Lombardia, e all’estero è stato tra i protagonisti dell’acquisizione per 45 milioni delle ferrovie greche Trainose nell’ambito delle privatizzazioni imposte a Tsipras dalla troika. Proprio a Trainose come direttore finanziario avrebbe poi piazzato suo figlio, Lorenzo Gentile.

In questa strettoia è pronto a infilarsi il Movimento 5 Stelle, con la mossa del cavallo. La promozione in Fs dell’attuale dominus di Acea Stefano Donnarumma. Ad del colosso romano della multiutility, già manager in A2A (energia) e Aeroporti di Roma, Donnarumma è sponsorizzato dalla cordata Lombardi-Di Vito e, nel governo, piace al ministro Riccardo Fraccaro e soprattutto a Luigi Di Maio.

La sorella del ministro per i rapporti con il parlamento è sposata peraltro con l’avvocato di Italpol, il gigante della vigilanza guidato da Giulio Gravina, storico vincitore di appalti del comune di Roma.

LA PROVA DEL NOVE dei rapporti interni ai 5 Stelle (impegnati in guerre fratricide su ogni nomina, dal comune di Roma in su) la fornirà la scelta del ministro Toninelli, che proprio in questi giorni ha sul tavolo il dossier No Tav recapitatogli dalla sindaca di Torino Appendino ed è sul piede di guerra con Zaia per i cantieri miliardari di Mose e Pedemontana.

Se sponsorizzerà Gentile o gli altri candidati della Lega, lancerà un siluro a Di Maio e alla sua «corrente» pentastellata, che a questo punto nonostante l’enorme potere accumulato nelle urne rischia di uscire a mani vuote dalla grande corrida delle nomine.