Ci sono voluti 43 giorni, il processo negoziale più lungo della storia della democrazia danese, per annunciare la nascita del nuovo governo guidato da Mette Frederiksen, la prima ministra socialdemocratica uscente, dimessasi a ottobre per evitare la sfiducia della sua stessa maggioranza e oggi alla guida del secondo governo centrista della storia del Regno.

Il governo presentato ieri al castello di Amalienborg vede insieme i due maggiori partiti di centro destra e di centro sinistra, socialdemocratici e liberali, insieme al vecchio leader liberale Lars Løkke Rasmussen che giusto un anno fa abbandonava il partito (con il quale era stato premier dal 2015 al 2019) per fondare i Moderaterne (moderati). Esattamente come avvenne nel 1978, l’unica altra volta nella quale governarono insieme liberali e socialdemocratici, anche adesso è la crisi energetica e l’inflazione galoppante ad aver giustificato l’accordo.

Il compromesso raggiunto tra le tre forze politiche è stato presentato mercoledì alla stampa e ieri è stata ufficializzata la squadra di governo. Frederiksen sarà riconfermata premier mentre il presidente del Partito liberale, Jakob Ellemann-Jensen, diventerà vice primo ministro e ministro della difesa e Lars Løkke Rasmussen, dei moderati, diventerà ministro degli esteri. Un esecutivo a 23 di cui solo otto (il 35%, compreso la prima ministra) sono donne. L’inedita alleanza «né rossa né blu», come l’ha definita Mette Frederiksen, è basata su un accordo dettagliato in 60 pagine che fa parlare l’opposizione di sinistra di governo di centro destra soprattutto analizzando le proposte in materia fiscale e sociale.

Nel dettaglio l’accordo tripartito prevede una riduzione fiscale per un ammontare di 5 miliardi di corone (circa 700 milioni di euro) a favore dei redditi più alti che avranno una diminuzione del carico fiscale del 7,5%. È stata decisa l’abolizione del cosiddetto «grande giorno di preghiera» una festività nazionale introdotta, nel 1686, che cade il venerdì prima della quarta domenica dopo Pasqua. Il nuovo governo utilizzerà i soldi risparmiati per aumentare la spesa per la difesa. Anche l’innalzamento dell’età pensionabile di tre anni per i lavoratori che hanno impieghi usuranti va incontro alle richieste delle forze di centro destra e ha già visto la ferma opposizione, per esempio, del sindacato degli insegnanti, categoria direttamente colpita dal provvedimento.

Per gli studenti invece sono state rimodulate le forme per ottenere il sussidio universitario riducendo anche la durata dei master accademici. Archiviata, per ora, l’idea dell’esecutivo precedente che prevedeva la costruzione di un centro di accoglienza per richiedenti asilo in Rwanda; l’ipotesi è di concertarla con altri paesi europei. Anche i provvedimenti contro l’inflazione avranno una rimodulazione degli aiuti per le famiglie, privilegiando il numero dei suoi componenti alla condizione sociale nella quale versano. Il nuovo governo ha dichiarato di voler rendere la

Danimarca climaticamente neutrale entro il 2045 riducendo le emissioni di Co2 del 110% rispetto al 1990 con un’apposita tassa in agricoltura e sugli aeromobili. La premier ha definito questo provvedimento «un’ambiziosa azione per il clima».

Durissimi i partiti della sinistra che hanno già dichiarato la loro ferma opposizione al programma del «nuovo governo di centro destra». Il 1° novembre le urne avevano consegnato una maggioranza numerica “rossa” ma, come aveva annunciato in campagna elettorale la premier Frederiksen, «in questa fase ci vuole un governo il più ampio possibile» con il centro destra.