Tempi duri per il governo, stretto fra la manifestazione della Cgil che intacca il monolitico consenso renziano nel Pd e le polemiche sull’uso della violenza in piazza contro i lavoratori; il terzo fronte, la legge di stabilità, pare relativamente rientrato. Ma forse si tratta solo di una dilazione perché la questione non pare del tutto risolta.

Ma di cosa parliamo? La polemica fra l’esecutivo italiano e la Commissione Europa rischia di mettere in ombra il sistema che vi sta dietro e che diventa sempre più incisivo. Tanto più potente e forte quanto invisibile, in quanto le scelte politiche decise nelle sedi dell’unione europea si “naturalizzano” e diventano lo spazio politico che determina lo spazio di manovra dei governi.

È diventato un caso il fatto che la Commissione ha inviato una lettera al governo italiano nella quale si fanno osservazioni critiche sulla bozza di legge di stabilità (che, va ricordato, è la principale misura in materia di bilancio dello Stato: cosa si finanzia e cosa si taglia insomma); il governo Renzi prima ha reso nota la lettera (che Bruxelles voleva rimanesse confidenziale), poi ha risposto trovando un accomodamento – provvisorio, però, perché a novembre vi sarà un’altra valutazione, come ha un po’ minacciosamente detto il neo-commissario Katainen in conferenza stampa. Tale interessamento ai conti dell’Italia non è episodico: occorre capire come sotto la superficie degli avvenimenti sia cambiata la concreta articolazione dei poteri.

In pochi anni la governance dei conti pubblici europei è completamente cambiata, come risposta alla crisi economica. Com’è noto il processo di unificazione europea dal Trattato di Maastricht ha comportato un coordinamento dei governi, sotto le inflessibili regole del Patto di Stabilità e Crescita (1997) che impone ben precisi obiettivi di bilancio: limite del 60% del debito pubblico rispetto al PIL e del 3% del disavanzo di bilancio (cioè il saldo fra entrate e uscite dalle casse pubbliche). Inflessibili ma non troppo: in alcuni anni alcuni stati le hanno infrante (segnatamente la Germania).

La crisi del debito sovrano ha portato l’idea che in materia di bilanci si debba essere più restrittivi: si è così avuta l’approvazione da parte del Consiglio Europeo (cioè dei governi) dei regolamenti che istituiscono il cosiddetto “semestre europeo”. Si tratta di un insieme di procedure di sorveglianza dei bilanci degli Stati da parte dell’UE, segnatamente della Commissione. Il 30 maggio 2013 è entrato in vigore il “two-pack”, due regolamenti che irrigidiscono il processo per i paesi dell’eurozona.

Questi devono inviare un piano di bilancio entro il 30 aprile poi, prima della approvazione della legge di stabilità, una bozza entro il 15 ottobre sulla quale la Commissione fornisce un parere (entro il 30 novembre). Se lo Stato recalcitrante non “obbedisce”, scatta una procedura di infrazione, l’esito ultimativo può essere una multa assai ingente (i governi possono bloccarla ma solo a maggioranza; adesso la Commissione ha aumentato il suo potere).

La complessità del meccanismo – davvero materia per specialisti – non deve nascondere il fatto che mentre i mercati finanziari sono ancora sostanzialmente indenni da misure coercitive che ne limitino le prerogative, gli Stati europei subiscono un’intensificazione delle attività di vigilanza e sorveglianza sui loro bilanci, finalizzati agli imperativi della stabilità finanziaria (che subordina alla bassa cucina contabile anche i diritti sociali). Libertà dei capitali, severa disciplina dei conti pubblici: la ricetta del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, un tempo rivolta contro il sud del mondo, torna a casa.