Le percentuali a due cifre della crescita registrate fino al 2022 in Italia erano il risultato di un «rimbalzo tecnico». Il Pil crollo in maniera clamorosa dell’8,9% nel 2020, ci ha messo due anni per recuperare. E nel 2023, lo hanno attestato ieri l’Istat, l’Eurostat e il Fondo Monetario Internazionale nel suo «outlook» mondiale si è stabilizzata allo 0,7%. Non è un livello pari a quello della Spagna (record +2,5%), ma è una crescita più alta della Germania in recessione (-0,3%) a causa della chiusura dei gasdotti come risposta all’aggressione russa in Ucraina. è un livello comunque inferiore dello 0,5% a quello stimato dal governo Meloni nell’aggiornamento del documento di economia e finanza (Nadef: 1,2%). Sono i numeri sparati a caso da un esecutivo confuso e incerto su tutto. Il problema è il 2024: la crescita è tutta da costruire, per ora la spinta lasciata in eredità dal 2023 calcolata dell’Istat è di appena lo 0,1%. Tutto questo in un contesto esposto a «rischi», come sempre nel capitalismo finanziario che prospera nell’insicurezza mondiale tra guerre e paure.

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Ieri l’Fmi è tornato sulle conseguenze del conflitto nel Mar Rosso, una delle conseguenze della guerra a Gaza, dove passano anche i commerci italiani. Si sta scommettendo ora sull’ipotesi che le atrocità possano avere un effetto sul costo del petrolio, dunque anche sui prezzi del gas, dando una spallata al Pil. Ciò potrebbe avere conseguenze dirette sui prezzi di cibo, energia e trasporti già aumentati. Le stime di Legacoop ieri hanno parlato di un aumento del Pil quest’anno in rallentamento allo 0,4%, proprio per la debolezza dei consumi delle famiglie Il ministro dell’economia Giorgetti ha messo le mani avanti: i «numeretti» del Pil nel 2024 saranno più bassi. Per il governo non è una prospettiva promettente. Figuriamoci per i governati.
Quanto alle altre economie l’Fmi segnala l’exploit della Russia il cui pil, sostenuto dall’economia di guerra, è stato rivisto al rialzo al +2,6% nel 2024, ovvero 1,5 punti percentuali in più rispetto alle stime di ottobre. Una revisione sostanziale che rischia di alimentare il dibattito sull’efficacia delle sanzioni. l’Argentina, nel frattempo, crollerebbe del 2,8%.

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Sul fronte dell’inflazione la previsione è che il calo continui. Quella complessiva globale dovrebbe scendere al 5,8% nel 2024 e al 4,4% nel 2025, con le previsioni per il 2025 riviste al ribasso. Ma qui la partita riguarda la singolare tenzone tra le Banche centrali e i mercati. Questi ultimi scommettono sui tagli ai tassi di interesse da realizzare nel 2024, le altre invece non intendono farlo prima del tempo. Ma il problema è, appunto, il tempo. Il taglio, in Europa, avverrà prima o dopo l’estate? La Bce teme che riparta l’inflazione, e che le stime sulla crescita peggiorino. Lo stesso Fmi l’ha invitata a evitare dichiarazioni di «vittoria prematura» nel contrasto all’inflazione. È la linea della presidente Bce Christine Lagarde.