Il piano B? Non esiste. Le voci che alludevano alla comparsa di una fantomatica cordata alternativa per l’Ilva sono state fatte filtrare, forse proprio da palazzo Chigi e probabilmente con l’intento di acquisire peso contrattuale nella trattativa, ancora a distanza, con Mittal. Scopo lodevole ma la cordata resta inesistente.

L’INGRESSO A VELE spiegate della Cassa depositi e prestiti? Se non è una fake news ci va vicino. Ci vorrebbero condizioni che oggi appaiono sideralmente lontane. La nazionalizzazione? E’ fuori discussione. Il Pd, con il ministro dell’Economia Gualtieri in testa, ha bloccato ogni tentazione in questo senso. Con modi felpati pubblicamente, più tassativamente a porte chiuse. Il «Piano per Taranto» annunciato con rullo di tamburi da Giuseppe Conte tramite apposita lettera spedita ai ministri ma fatta pervenire in anticipo a Repubblica? Un’ottima intenzione nella migliore delle ipotesi, fumo negli occhi nella peggiore. Pensare di risolvere la crisi della città italiana forse più in difficoltà di tutte chiedendo ai ministri di presentarsi con una proposta estemporanea ha il sapore di una beffa.

In queste condizioni il vertice di maggioranza convocato per domani, ufficialmente solo sulla manovra, in realtà anche sull’ex Ilva, non può arrivare ad alcun risultato. Del resto somiglierà più a un’assemblea che a un vertice: una quarantina e passa di invitati: ministri, sottosegretari, capigruppo. Non i segretari, però, che dovranno aspettare il conclave annunciato da Conte per gennaio. Matteo Renzi, comunque, ha tenuto a far sapere che lui non si sarebbe presentato neppure dietro invito formale con tanto di RSVP. In realtà la convocazione di massa è stata pensata proprio per ridurre il rischio di frizioni acerrime, che sarebbero probabilmente divampate con un minor numero di partecipanti.

Probabilmente nella maxi riunione non verrà neppure detta la verità sul caso Ilva, che peraltro sanno già tutti. Una volta esclusa la possibilità di chiudere la fabbrica venefica e slegare la sorte di Taranto da quella dell’acciaio, strada certamente difficile e ricca di controindicazioni ma non folle come la si sta facendo passare, resta una sola via: la trattativa con Mittal, che non è affatto chiusa. Quella trattativa si basa su due pilastri. Uno è la disponibilità ad accettare il taglio della forza lavoro, sia pure in misura minore rispetto alle richieste inaccettabili della multinazionale e in veste di casse integrazione invece che di esuberi. L’altro è lo scudo penale. Lo scoglio che impedisce alla trattativa di ripartire, anche se l’intera maggioranza fa i salti mortali per nasconderlo, era ed è questo: l’immunità.

IL NODO È STATO NOMINATO senza giri di parole e senza infingimenti, per una volta, nell’incontro fra Conte e i parlamentari pugliesi del Movimento 5 Stelle: una quarantina. Il premier si è presentato con Luigi Di Maio, il ministro dello Sviluppo Stefano Patuanelli e quello dei Rapporti col parlamento Federico D’Incà, ma a tentare di smuovere i pugliesi è stato lui in prima persona. «E’ in ballo l’intero sistema Italia. Con lo scudo dobbiamo dare un segnale e togliere a Mittal ogni alibi». Le replica di Barbara Lezzi è stata definitiva e pesante: «Te lo puoi scordare. Non lo voteremo mai».
Non è la linea di tutti i pugliesi ma di molti sì. Soprattutto, trincerati in quella posizione non ci sono solo i pugliesi. Non è affatto escluso, anzi, che siano i ribelli a trascinare l’intero Movimento invece del contrario. Ieri sera Di Maio è stato durissimo. Pollice verso per la nazionalizzazione: «Sarebbe un alibi per Mittal che ha preso un impegno e lo deve rispettare». Poi un avvertimento chiaro: «Se passasse l’emendamento a favore dello scudo per il governo sarebbe un problema enorme». Alludeva all’emendamento di Italia Viva che in realtà non arriverà probabilmente al voto e sarà dichiarato inammissibile dal presidente della Camera Roberto Fico. Ma il segnale di Di Maio sull’eventuale decreto per reinserire lo scudo è esplicito e minaccioso: «Se cominciamo con gli sgambetti, Italia Viva è quella che ha più da perdere».

IN QUESTA SITUAZIONE, la sorte dell’Ilva resta in altissimo mare. I legali di ArcelorMittal hanno depositato ieri formalmente presso il Tribunale di Milano l’atto di recessione per il contratto d’affitto. Silenziosamente, intanto, gli impianti si stanno fermando. Molti sono già bloccati e ieri si è sfiorato un nuovo incidente grave. La situazione reale la ha raccontata solo il vento di Taranto, portandosi via le bandiere italiane, della Ue e di Mittal che svettavano sulla fabbrica. L’ex Ilva sta per chiudere. Non per una scelta politica. Per insipienza e paralisi della maggioranza.