I tre volumi di Animation. A World History mi guardano minacciosi dallo scaffale in cui li ho riposti tempo fa. Da un certo punto di vista ne sono affascinato, perché so bene quanto Bendazzi abbia speso anni della sua vita e profuso immensa fatica per realizzarlo; dall’altro ne sono atterrito, perché mi aspetta una lettura lunga e complessa, in lingua inglese. Già, perché uno dei paradossi, è che l’unico editore (CRC Press) disposto a pubblicare un’opera di oltre 1000 pagine, si trova in Florida, mentre in Italia questo prezioso e voluminoso lavoro non uscirà forse mai. Il proverbio “nemo profeta in patria” resta valido più che mai.

Gli studiosi e gli appassionati del cinema di animazione hanno un debito di riconoscenza verso Bendazzi, da quando – alla fine degli anni ’80 – stampò con Marsilio il suo Cartoons, tomo comunque corposo (600 pagine circa) che ha rappresentato a lungo l’unica, sistematica storia mondiale del film animato, assieme a quella (meno esaustiva) di Gianni Rondolino. E c’era da andar fieri che l’Italia avesse dato il suo importante contributo in questo settore. Ma il tempo passa veloce, gli autori aumentano e – soprattutto – le tecnologie cambiano: dal 1995, con Toy Story siamo entrati in una nuova era, quella dell’animazione al computer (CGI) ed era necessario aggiornare ed espandere la fantastica storia del film animato.

Una cosa da sempre apprezzabile è l’approccio a 360°, la capacità di Bendazzi di saper raccontare tutta l’animazione, non solo quella d’autore ma anche quella più sperimentale, dedicandovi non meno spazio rispetto al cinema “narrativo”; anzi, in alcuni casi, può perfino apparire eccessiva – per chi non conosce l’importanza della sperimentazione – l’attenzione rivolta a quest’ultima. Chi oserebbe affermare che 7 pagine per Alexejeff e 6 per McLaren siano troppe rispetto alle 3,5 dedicate a Tex Avery? Solo uno studioso come Bendazzi, attento e sensibile culturalmente alle altre arti, poteva inserire nel capitolo incentrato sulla produzione inglese anni ’80-’90 (parliamo del terzo volume) un lungo paragrafo sul rapporto tra animazione e videoarte. E così, se dovessimo fare un calcolo finale, non solo in meri termini di quantità, ma anche di qualità del discorso complessivo, dovremmo constatare che per lo studioso italiano l’animazione indipendente, autoriale, dedita alla ricerca, prevale nettamente nella sua analisi.

Tutte le pubblicazioni di Bendazzi, inclusi questi tre tomi, nascono dalla necessità quasi “morale” direi, di essere il più esaustivi possibile dal punto di vista geografico, prendendo in considerazione tutte le cinematografie dei cinque continenti, con un approccio filologico davvero invidiabile, dovuto a una solida conoscenza maturata in alcuni decenni, grazie a numerosi viaggi, infinite ricerche, frequentazioni di festival e di università, dove spesso in questi anni ha tenuto conferenze. E basta scorrere la lunghissima lista di ringraziamenti per comprendere la rete di rapporti che Bendazzi ha stretto in tutto il mondo e che sono alla base di un’opera che resta unica.

La struttura di ogni capitolo è fortemente frammentata, scandita a volte da brevi paragrafi ciascuno con il suo titoletto, ma anche da ampi approfondimenti su singoli autori con le colonne “filettate” in modo da distinguerli rispetto al testo normale. I box su fondo grigio, invece, riguardano alcuni aspetti tecnici, spiegati in modo sintetico ed efficace.

E passiamo in rassegna più dettagliatamente l’opera. Il primo volume affronta l’era pre-cinematografica e arriva fino alla “golden age” degli studios hollywoodiani, ovvero dal 1928, anno del primo Mickey Mouse (Steamboat Willie) al 1951. Il secondo volume (che è anche il più esteso, con oltre 460 pagine) è intitolato invece The Birth of a Style – The Three Markets, dove lo stile nuovo è quello stilizzato della casa di produzione americana UPA, che influenzerà un po’ tutto il mondo e diventerà predominante nell’era che vede il passaggio dal cinema alla televisione, mentre cronologicamente il volume prende in considerazione il trentennio 1960-1991, soffermandosi in particolare sui paesi dell’Est Europa.

Piuttosto lungo è anche il terzo volume, intitolato Contemporary Times, che dimostra quindi come lo studioso genovese abbia voluto dedicare oltre un terzo del suo lavoro agli ultimi 25 anni, colmando il vuoto lasciato da Cartoons. Se il discorso sull’animazione al computer è esauriente, lo spazio dedicato alla Pixar è stranamente ristretto (anche se degli esordi di Lasseter si parla alla fine del secondo volume), per il resto Bendazzi passa soprattutto in rassegna decine e decine di paesi, soffermandosi sull’Italia per 5 pagine e lasciando spazio agli animatori sperimentali e “pittorialisti” nostrani.

La storia dell’animazione di Bendazzi – che negli ultimi 20 anni si è allontanato da Milano per insegnare alla Nanyang Technological University of Singapore – è insomma uno strumento indispensabile per gli studiosi, per gli studenti e per tutti i profani che vogliono saperne di più sull’argomento. Come suggeriva il titolo di uno dei primi libri di Bendazzi, Topolino e poi…, pubblicato negli anni ’70 da Il Formichiere (punto di partenza di una lunga esplorazione giunta fino a quest’ultima opera), è necessario andare oltre Topolino per scoprire i diversi mondi dell’animazione, senza fermarsi ai soliti noti, restituendo spessore storico ma anche senso filosofico a questa magica arte del tempo e del movimento.