Dovrebbe essere la notte dell’accordo. Rischia di rivelarsi quella del massacro. Testa o croce ma come cadrà la moneta lo si scoprirà solo stamattina, al momento della fatidica quarta votazione, e forse neppure allora. È probabile che la trattativa si prolunghi fino a domani se non addirittura fino al weekend.
I candidati cadono uno dopo l’altro, abbattuti dai veti incrociati e dalla mitragliatrice impazzita del M5S. All’ora di cena Salvini, gran maestro di cerimonie, spande ottimismo, ha il tono della stretta finale: «La notte sarà lunga e di lavoro, tenete i telefoni accesi». E ai suoi: «State pronti a una convocazione anche alle 3 di notte». In quel momento la girandola di vertici e incontri, mai arrestatasi, sta per passare alla modalità frenesia spinta. I gruppi del centrosinistra stanno per riunirsi separatamente, dovrebbe seguire il vertice del centrodestra ma all’ultimo momento viene rinviato a stamattina. In forse anche il vertice di maggioranza, facile che arrivi anche quello solo oggi. Ma le teste in attesa di corona rotolano ben prima dell’atteso conclave-lampo.

IL NOME IN POLE position all’imbrunire era quello di Pier Casini, più per esclusione che per convinzione. Fatti fuori tutti gli altri restava solo lui, non il più gradito però il meno sgradito. La doccia fredda arriva con un comunicato attribuito a «fonti qualificate» del Movimento: «Se vogliono Casini presidente facciano pure ma il M5S va all’opposizione». Poco dopo però arriva la smentita di Casalino: «Qualsiasi commento su possibili candidati è destituito di ogni fondamento. Lavoriamo per una soluzione condivisa». Con la guerra guerreggiata che impazza nel Movimento difficile trovare la soluzione del giallo. La porta per Pier comunque resta aperta. Non spalancata però perché nel frattempo emergono i dubbi anche di Lega e FdI.

IN SERATA ERA passato come una meteora un nome che sembrava destinato a mettere d’accordo tutti: quello di Sabino Cassese, costituzionalista rispettato ovunque, con solo un handicap, l’età effettivamente avanzata, 86 anni. Il Foglio rivela che Salvini sarebbe andato a trovarlo, si appresterebbe a inserirlo nella rosa del centrodestra. Il leghista smentisce l’incontro, glissa sulla candidatura. Sembra certo che l’idea sia spuntata davvero e sia tramontata o quasi per qualche veto. Si sa che i 5S e il leader Conte, a suo tempo paragonato dal costituzionalista al torvo Orbán erano contrari che più contrari non si può ma non è detto che a volgere il pollice all’ingiù siano stati solo loro.

La presidente del Senato Casellati è stata la prima a finire cestinata. Ci ha sperato sino all’ultimo ma non potrebbe contare neppure sul voto dei suoi e Letta ha sganciato un’atomica tattica a scopo di deterrenza, un botto che doveva risuonare soprattutto alle orecchie dell’alleato Giuseppe Conte: «Proporla sarebbe il modo più diretto per far saltare tutto». Ma per frenare eventuali tentazioni di Conte, che probabilmente ci sono state davvero, è stato anche Grillo, con una telefonata sulla carta finita col classico «perfetto accordo» in stile vecchia Urss.

MA INTORNO alle candidature della destra si è innescato anche un conflitto esplicito tra Meloni e Salvini. Giorgia che non ha intenzione di farsi relegare nel ruolo di ruota di scorta e quindi insiste per uscire dal limbo delle schede bianche. Con Crosetto che quasi raddoppia i voti rispetto ai 63 fratelli d’Italia arriva a un ottimo risultato. Il leghista un po’ s’imbufalisce ma alla fine la leader gli affida delega piena nella trattativa. Più che sull’elezione del primo cittadino, la schermaglia va inquadrata nella sfida per gli equilibri interni al centrodestra.

DRAGHI RESTA una presenza di sfondo, convitato di pietra dopo essere stato per settimane al centro di ogni chiacchiera e di ogni riunione. Il partito trasversale che lo sostiene, quello di Letta, Di Maio, Giorgetti e anche Renzi che però punta anche sulla carta Casini, non demorde. Ma i veti di Conte e di Berlusconi restano inamovibili e Salvini, in fondo, la pensa come loro. Alla fine persino Giorgetti sembra rassegnato: «Se i voti non ci sono, non ci sono».
Solo Mattarella si staglia inamovibile come ultima risorsa per molti ma non per tutti. Al leader dei 5S non piacerebbe neppure la sua riconferma. Molti dei voti che ha preso ieri venivano proprio da pentastellati che notoriamente in materia la pensano all’opposto dell’avvocato. Che però, in piena notte, gioca la sua carta. Insiste su Elisabetta Belloni e, servizi o non servizi, Letta non chiude ogni spiraglio.