Diceva Tolstoj che «se vuoi essere universale, devi parlare del tuo villaggio». Bella maniera per affermare, in anticipo sui nostri tempi, che non ci salverà né un’astratta benevolenza nei confronti del mondo intero, né la (il)logica dei sovranismi e delle piccole patrie. Noi contro loro. Da oltre un quarto di secolo l’universale dei problemi, e il particolare della rivendicazione di un’identità palpitante ma in continuo divenire è la bandiera dei Lou Seriol, tra i principali protagonisti della piccola grande rinascenza musicale occitana, cresciuta sull’onda di un folk revival che ha investito tutta la Penisola. Della band è uscito Occitàn (distr. Egea) a sei anni di distanza dall’innovativo Maquina Enfernala. Rigorosamente scritto e cantato in occitano, la lingua che ancora risuona nelle valli occidentali del Piemonte, il Delfinato, compresa quella Val di Susa che vorrebbero sacrificare in nome dell’alta velocità del nulla.

MUSICALMENTE, ancora più in là di dove arrivava il precedente disco: per lo scandalo sterile dei puristi, e la gioia di chi vorrà penetrare passo dopo passo in questo nuovo percorso avventuroso. Reggae, richiami a note africane e gaeliche, alt country venato di blues, ska, tex mex, calypso. E balli d’Occitania. Tutto assieme. Racconta Adriano Rovere, il chitarrista, che le «piccole patrie» sono poco consistenti quando si poggiano solo su principi finanziari ed economici, ma che i principi delle altre identità incontrate sulla loro strada strada, in un quarto di secolo, (Paesi Bassi, Catalogna, Marsiglia, Tolosa) hanno perimetri che non coincidono con le mappe geopolitiche, spesso si basano proprio sull’interconnessione delle identità. Fortunatamente a questo livello, dicono i Lou Seriol: «Le frontiere si bruciano facilmente». Occitàn, il disco, in questo senso, «è un’esplorazione su cosa significhi essere occitani, Ci hanno aiutato in tanti: le percussioni e i fiati arrivano dall’estremo est delle Alpi, c’è un banjo di Marsiglia, una batteria che ha suonato il progressive degli anni ‘70 in Italia, una armonica a bocca che per arrivare a Cuneo ha fatto mezzo giro del mondo, un cantante di musica metal e un racconto regalato per essere tramandato. Non so se siamo riusciti più a delineare l’idea o a confonderla: ci stiamo già di nuovo lavorando».

A PROPOSITO di fondere e confondere, Lou Seriol ha le idee chiare, perché «se inciampa in qualche sistema di catalogazione, per infilare in qualche scaffale la nostra musica, tanto meglio. Sono obsoleti loro. La provocazione fa parte del nostro gioco tanto che nel disco abbiamo messo una cover in occitano dei Sex Pistols, Anarquia en Occitània. Una invocazione, per augurare un sano disordine che scompigli le care, un calcio al tavolo per vedere cosa sta su e cosa invece deve essere pensato da capo». Intanto, esperienze come quella dei Lou Seriol sono già storia per chi ha vent’anni di meno, e meno problemi con un concetto stantio di tradizione: «La Rete, quella con la maiuscola, ci ha rivelato che ci sono le cover di alcuni nostri pezzi, e ci ha fatto sorridere. Ma la scena musicale occitana è molto variegata, diventa singolare quando tende ad avere più di un punto di appoggio, quando si intrecciano percorsi che hanno avuto punti di partenza diversi e quando si impara ad attingere a strati culturali diversi. Ci sono molte espressioni interessanti nelle quali la curiosità ha portato a scavalcare il muro, a scomporre quello che ti piace e a rimontarlo in un altro modo aggiungendo ingredienti per farlo diventare come l’avevi immaginato. Certe altre aree sono un po’ stagnanti, troviamo un po’ spento l’atteggiamento che porta a domande come: ma questa come si balla? E’ una chapelloise? Ci viene da rispondere: siamo a una festa, balla come ti viene, andrà bene!».