Tutte le componenti del politicismo, di quella schiuma di superficie che è presente nel governo Draghi, si chiedono, con apprensione, quali saranno i lineamenti secondo i quali si svilupperà l’azione del Premier. L’ apprensione, naturalmente, riguarda solo gli esiti del dare e dell’avere che il loro posizionamento nella compagine governativa apporterà ai nuovi equilibri politici che emergeranno dopo la conclusione della fase in corso. Se, invece, si usano gli strumenti, anche minimi, dell’analisi strutturale secondo il paradigma della profondità, la meccanica radicale alla base della funzione del governo Draghi non riserverà particolari sorprese.

«Monti demiurgo di Draghi», ha affermato Emiliano Brancaccio (Seminario su Il discorso sul potere, ottobre 2019). Il fatto che tale affermazione risalga ad un anno e mezzo fa e non abbia, quindi, nessun rapporto con la cronaca politica del momento attuale, la rende particolarmente significativa per la comprensione della dinamica di lungo periodo. In estrema sintesi, Draghi poteva pronunciare il suo whatever it takes, perché Monti, con i decreti del «Salva Italia», aveva potuto riallineare l’economia italiana agli equilibri di garanzia dell’euro. La stessa funzione che Draghi ha ora come capo di governo: utilizzare il Recovery Fund senza mettere in pericolo gli equilibri dei mercati, soprattutto finanziari. E possiamo stare tranquilli che a tal fine egli farà whatever it takes. A tal scopo utilizzerà tutte le forme possibili di flessibilità adatte alla contingenza.

Certo, perché grandi commis del capitale, come Monti e Draghi, sono tutt’altro che rigidi dottrinari. Conoscono bene le «imperfezioni», le «asimmetrie» del mercato, che però ritengono appartenere alla sfera della contingenza, mentre l’equilibrio appartiene alla sfera della necessità. Il loro impegno, tanto di economisti teorici, quanto di economisti deputati ad esercitare politica economica, è quello di coniugare contingenza e necessità, nel senso di operare nella prima in funzione della seconda. Di ricondurre «imperfezioni» e «asimmetrie» nella logica dell’ «equilibro generale» di ascendenza neoclassico-paretiana.

In fondo sono politici-intellettuali engagés alla maniera sartriana, solo che il loro engagement ha il segno rovesciato rispetto a quello proposto da Sartre. È un impegno per risolvere le contraddizioni che emergono dalle contigenze dei processi economico-sociali in atto tramite adattamento a nuove/vecchie, ma adeguate, forme di dominio. In una contingenza che viene trattata del tutto all’interno di una dimensione teorico-politica accettata come naturale dall’intero panorama politico che concorre alla formazione del governo, chiedersi se il ministero Draghi sia di «destra» o di «sinistra» ha scarsissimo senso. O meglio, l’avrebbe se i due termini fossero ricondotti a rigorose determinazioni storico-teoriche. Ma, da trent’anni ormai, l’indeterminazione dei concetti si è affermata come una delle principali cifre caratterizzanti la miseria della politica. Termini come «sinistra», «riformismo», «progressismo», etc., sono diventati contenitori di frattaglie eterogenee, e non hanno più alcuna funzione di strumenti analitico-operativi.

Nel contesto del rapporto tra contingenza e necessità che ho delineato, gli unici limiti agli interventi dei grandi commis del capitale sono quelli che possono mettere in pericolo il ripristino dell’equilibrio dei mercati. A seconda del carattere della contingenza il perimetro degli interventi può essere piuttosto ampio. Mario Monti, ad esempio, nel Seminario citato, si è permesso di ricordare «ai partiti che si richiamano alla sinistra» e vogliono, però, «dimostrare che non hanno niente a che fare con l’ascendenza socialista e marxista», che la «tassazione patrimoniale» non è per niente «sovversiva del capitalismo» e, dunque, compatibile con le coordinate fondamentali che si provano a riprodurre continuamente il sistema di equilibrio.

È proprio il giudizio critico su tali coordinate fondamentali che pone la distinzione tra «destra» e «sinistra» su base storicamente e teoricamente determinata. È ovvio che siano presenti anche altre, e importanti, distinzioni tra gli schieramenti politici che si autodefiniscono con i termini di «destra» e «sinistra». Essere governati da Pd e sue correnti esterne è del tutto preferibile che essere governati da fascio-leghisti, perché questo sono. Ma ciò non ha niente a che vedere con ipotesi strategiche, bensì con la indispensabile azione politica di breve e/o medio periodo.

La vera ipotesi strategica è quella, certo difficilissima, dell’engagement per la costruzione di un soggetto politico capace di iniziare un percorso altro. Il nostro impegno, insomma, deve essere quello di preparare un whatever it takes dalla parte dei dominati, invece che dalla parte dei dominanti.