Si va a Forlì Open Music, festival di due giorni, non nella cave nascosta in collina di Area Sismica ma nella ex chiesa di San Giacomo in centro città. Ma la regia e le idee sono sempre di Area Sismica. Si va a questo festival in cerca del Suono Unico in divenire dell’universo non-pop. Delle forme-non forme che possano superare le appartenenze a generi tradizioni scuole e mettano in circolo una comune piattaforma di contemporaneità musicale costantemente aperta. In cerca. Il ritrovamento, l’avvenuta congiunzione ideale tra espressioni sonore dell’oggi di diversa provenienza è un’altra storia. Problematica ma appassionante.

In ogni caso è questa l’acuta proposta culturale di Area Sismica in occasione di Forlì Open Music. Prendiamo i sei Capricci (1976) per violino solo di Salvatore Sciarrino interpretati dal «mostruoso» Irvine Arditti che ha diritto alla qualifica di superstar. C’è il gioco leggero frenetico tra suoni fuggitivi sugli acuti e grappoli di suoni che accennano a «violentare» tutto lo strumento. C’è nell’Andante una melodia cantabile? Pare di sì ma è avvolta in un procedere di «indicibilità» che è il piacere di incontrare l’informale, la mancanza di gravità. Arditti non indulge al mistero astratto sciarriniano: preferisce farne qualcosa di più quadrato e insieme di più battagliero.

Prendiamo questi Capricci e confrontiamoli – mentre godiamo dell’uno e dell’altro set – con la musica del trio Dkv, che vuol dire Hamid Drake alle percussioni, Kent Kessler al contrabbasso, Ken Vandermark ai sax e clarinetti. Qui l’origine è il jazz. Non tanto il post-free quanto un dopo free molto amabile, non convulso, non avant-garde. L’improvvisazione ha una parte principale. La sonorità di Vandermark è lontana dalle evanescenze, è robusta, decisa, non lacerata. Come il suo fraseggio voglioso di melodie ritmiche, un po’ alla Sonny Rollins ultima maniera. Un altro mondo, si direbbe, rispetto a Sciarrino. Potrebbero convivere in una jam session? Mah!

Eppure ci provano. I due mondi, vogliamo dire. E non in una jam session ma in una escursione sonora dove l’improvvisazione è totale (nelle jam no). Luigi Ceccarelli, compositore di fama consolidata nella «contemporanea» non osservante, e Gianni Trovalusci, flautista globalista, fanno parte del mondo «dotto», Ken Vandermark e Hamid Drake (toh, chi si rivede!) fanno parte del mondo jazz. Insieme formano il gruppo Open Border. Riesce il loro impegnativo flirt? Nella prima parte sì. Vandermark rinuncia al modern jazz e adotta il melodizzare «nevrotico» (termine ovviamente positivo) dell’avanguardia più o meno storica. Drake usa la sua infinita sapienza percussiva allo stesso scopo. Trovalusci con tubi di varie misure emette soffi e suoni singoli fascinosi. Ceccarelli con computer e tablet cattura i suoni degli altri e li rimanda rielaborati nello spazio comune dove diventano materiale nuovo. Musica contemporanea radicale e free improvisation radicale. Le due cose sono la stessa cosa.

Andy Moor e Yannis Kyriakides. Origini: art-rock (un ex degli Ex) e scrittura tipo ambient. Uno alla chitarra l’altro ai live electronics. Perdiamo o ritroviamo il filo con Sciarrino? Gli aspri arpeggi e gli strappi di Moor sono Sciarrino, idem il glitch i sibili i boati di Kyriakides. Ci sarebbe anche il piano trio The Necks. Il suo crescendo minimalista/massimalista fasullo c’entra poco. Ma alla fine che ci importa di trovare un Suono Unico? Non ci basta il filo della curiosità, dell’apertura, della ricerca come modo di vivere che collega tutti questi begli spiriti? E poi: che cento fiori… con quel che segue.