Non c’è pezza che tenga. Le peripezie di quell’art. 19bis al decreto attuativo della delega fiscale che avrebbe, forse, permesso a Berlusconi di candidarsi con largo anticipo sulla pena accessoria che lo rende ineleggibile sino al 2019 restano troppo misteriose, troppo ambigue, per non costituire un incidente di prima grandezza. Uno sfregio sulla levigata immagine di se stesso che Matteo Renzi è sin qui riuscito a smerciare e che il ritiro della norma promesso da Renzi non basta a restaurare. Il guaio, ancor più dell’articolo in sé, è il balletto che ha reso quella norma figlia di nessuno, capitombolata dal cielo sul decreto. Nessuno ne sa niente. Nessuno c’era, e se c’era dormiva.

Nel gioco delle tre scimmiette cui partecipano un po’ tutti è inevitabile che le accuse e le denunce si assiepino. Dagospia giura di aver saputo «da fonte credibile» che alla vigilia del blitz sul decreto si era riunito al ministero dell’Economia un gruppetto di congiurati eccellenti: il ministro dell’Economia Padoan, l’alter ego di Renzi Luca Lotti, l’ex presidente della Consulta e presidente della commissione incaricata di preparare i decreti attuativi della delega Franco Gallo, l’avvocato di Berlusconi Franco Coppi.

Sarebbe stato limato lì il “segnale” promesso da Verdini a Berlusconi ogni volta che l’uomo era tentato di sganciarsi dal patto del Nazareno, la dimostrazione che Renzi è davvero pronto a dare quel che Silvio reclama in cambio degli innumerevoli aiuti prestati al governo: la restituzione dell’ “agibilità politica”. La testata online di Roberto D’Agostino si allarga sino a ipotizzare anche la mercede promessa a Padoan in cambio del prezioso appoggio: addirittura il Colle. Gallo ha smentito, Coppi pure. Il Mef non si accontenta e minaccia azione legale. Ma siccome in casi come questo la smentita è d’obbligo le ombre restano.

Altre voci, altrettanto credibili, altrettanto prive di elementi probatori a sostegno raccontano tutt’altra storia. Dicono che l’articoletto incriminato è arrivato nel testo, il 24 dicembre, a consiglio dei ministri terminato, senza che Padoan ne sapesse nulla. In questo caso la responsabilità del fattaccio ricadrebbe tutta sulla signora Antonella Manzione, già comandante dei vigili urbani di Firenze, imposta da Renzi, con forzatura inaudita alla guida del legislativo di palazzo Chigi, una delle postazioni più delicate che ci siano. Se a decidere non è stato Padoan, il semaforo verde deve essere partito da lei, e immaginare una mossa del genere da parte della vigilessa con Renzi all’oscuro è fantascienza pura. Ma a palazzo Chigi giurano di non saperne niente, al ministero di Via XX Settembre pure, e presso i diretti e azzurri interessati idem: «Non se ne è mai parlato né in Parlamento né in casa Berlusconi», assicura l’ultima ventriloqua accreditata del capo, Maria Rosaria Rossi.

Grillo non la manda a dire: «Dietro c’è la mano della Manzione». Alla camera i pentastellati caricano: «Ultimamente palazzo Chigi sembra un rione in mano alla Camorra. Renzi sta proteggendo Verdini, che ha voluto la norma». La replica è affidata al capogruppo Pd in commissione Giustizia Verini: «Malafede, propaganda: ammettere un errore è un segnale di forza».

Sarà. La difesa di Verini, però, è invece debolissima. È la stessa successione degli eventi a destare sospetti che le parole di Verini non bastano a dissipare: nella lunga notte del 20 dicembre, al Senato, il varo della legge di stabilità e l’incardinamento dell’Italicum, resi entrambi possibili solo dalla disponibilità forzista. Il 24 dicembre la telefonata Renzi-Berlusconi che di fatto suggella il patto del Nazareno anche in materia di Quirinale. In mezzo l’articolo figlio di nessuno, la norma salva Silvio, il segnale chiesto da Verdini.

Quel patto reggerà. In fondo, il segnale in questione palazzo Chigi lo aveva mandato. Verdini non faticherà a convincere Berlusconi che questo è ciò che conta, perché attesta che di Renzi ci si può fidare. Solo che a questo punto le chances di un presidente della Repubblica targato Nazareno inevitabilmente scemano, mentre salgono quelle di un “tecnico”, magari incaricato di vegliare sulla trasparenza delle istituzioni, come vorrebbero parecchi magistrati. Però ieri, in una giornata nerissima per Renzi, non c’è stato solo il caso Berlusconi a tenere banco. Con il solito tempismo a orologeria “i mercati” hanno iniziato a cannonneggiare la Grecia per convincere amichevolmente gli elleni a non votare Tsipras. Alla faccia delle certezza sbandierate da Renzi nella conferenza stampa di fine anno («Nessun contagio»), parecchie di quelle bombe hanno colpito anche piazza Affari. E questo rafforza invece il partito trasversale che vorrebbe sì un tecnico sul Colle, ma incaricato di vegliare sull’obbedienza alle regole europee e indicato dalla Ue.