Che fine ha fatto il Fiorentino, favoloso diamante la cui storia è documentata dal XVII secolo e misteriosamente scomparso negli anni venti del XX secolo? È un grande diamante pare di origine indiana, giallo pallido con sfumature verdognole, tagliato a doppia rosetta a 9 lati, con 126 faccette e un peso di circa 137,27 carati (pari a 27,454 grammi).

Fu acquistato dal granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici dalla famiglia lusitana Castro-Noranha per circa 35.000 scudi crociati portoghesi dell’epoca. A proporgli l’acquisto fu il cardinale Francesco Maria Bourbon del Monte Santa Maria, collezionista d’arte, tra i più importanti committenti di Caravaggio e protettore di Galileo Galilei. Per inciso il cardinale è tra gli antenati di Virginia Bourbon del Monte (1899–1945) moglie di Edoardo Agnelli e madre di Gianni, Susanna e Umberto Agnelli.

Il figlio del granduca, Cosimo II, lo donò alla consorte Maria Maddalena d’Austria. La pietra passò poi all’imperatrice Maria Teresa d’Asburgo e dopo il crollo nel 1918 dell’Impero austro-ungarico seguì gli Asburgo nel loro esilio in Svizzera. Qui venne rubato e da allora se ne sono perse le tracce. Alcuni ipotizzano che il diamante venne ritagliato in quello che oggi è conosciuto come il Tiffany Giallo (al collo di Audrey Hepburn nel film Colazione da Tiffany), ma è una congettura senza prove. Le uniche immagini che rimangono della gemma sono i dipinti e alcuni disegni che ritraggono Maria Maddalena d’Austria con i suoi gioielli.

I riflessi cangianti del Fiorentino illuminano e tingono di giallo La mossa del diamante, romanzo storico-fantastico di Mino Gabriele (2020, Aseq edizioni, 14 euro). Poche righe e c’è subito un cadavere, quello di una nota antiquaria veneziana, a terra nel suo negozio con la testa insanguinata e una preziosa collana in bocca. Protagonista del romanzo è Marco, un esperto di gioielli, le cui indagini subiscono presto sviluppi imprevisti.
Principesse dell’antico Egitto, manoscritti medievali, ricette alchemiche, sogni premonitori, visioni e fantasmi finiranno per terremotare le sue convizioni su cosa sia vero e cosa falso, cosa sia sogno e cosa realtà. La luce riflessa dai diamanti, quella ingannevole dei miraggi, lo scintillare delle stelle e dei granelli di sabbia sulle dune del deserto, il verde argentato degli ulivi ricoperti di rugiada che vibrano alla prima brezza dell’alba. La luce non si spegne.

Un gentile sconosciuto a volte pescatore gli assicura: «Il mondo è solo luce, una, che si manifesta in un incalcolabile arco di sfumature, visibili e invisibili».
Le sue indagini lo porteranno a Venezia, dove c’è spazio anche per spritz, crostini tiepidi con baccalà mantecato e le mura rosse dell’Arsenale. E a Firenze, dal Giardino di Boboli a un morbido castagnaccio con pinoli, uvetta e fogliette di rosmarino. Al suo fianco, spesso a tavola, appare e scompare Laura Banti, magistrato, una presenza femminile e un amore che ci azzecca poco ma non guasta. In conclusione la mossa del diamante darà scacco matto al Fiorentino.

Dopo molti saggi questo è il primo romanzo di Mino Gabriele, professore di Iconografia, Iconologia, Scienza e Filologia delle immagini presso l’Università di Udine. Dirige la collana Multa Paucis. Opere Rare e Inedite della Biblioteca Nazionale di Firenze e la rivista Fontes. Periodico semestrale di Filologia Classica e Storia dell’Arte. Tra le sue pubblicazioni Alchimia. La tradizione in Occidente secondo le fonti manoscritte e a stampa; Hypnerotomachia Poliphili; Corpus iconographicum di Giordano Bruno; L’arte della memoria per figure; Alchimia e iconologia; Sui simulacri di Porfirio; La Porta magica di Roma. Simbolo dell’alchimia occidentale; Il primo giorno del mondo.